DAGONEWS
Quando quel gruppo di cacciatori si è ritrovato davanti a quel corpo non ha avuto dubbi: si trattava del cadavere mummificato di un uomo rimasto in quella tana per chissà quanto tempo. Ma quello non era uno zombie: Alexander non era morto e si era aggrappato con le unghie e con i denti alla vita, pregando tutti i giorni che l’orso che l’aveva attaccato non sarebbe tornato per finire ciò che aveva iniziato.
La storia arriva da Tuva, una delle ventidue repubbliche russe dove Alexander è nato e cresciuto. Cosa sia successo nei dettagli non è dato saperlo visto che l’uomo è riuscito a pronunciare a malapena il suo nome, ma non si ricorda né il nome né l’età. L’unica certezza è che l’uomo è stato aggredito da un orso che gli spezzato la schiena e lo ha trascinato dentro la sua tana: lo ha sotterrato sotto un po’ di terra e si è allontanato convinto che sarebbe tornato in un secondo momento per uno spuntino succulento.
Gli orsi bruni, infatti, sono stati conosciuti per la loro abitudine di seppellire parzialmente o completamente le loro prede, aspettando giorni o settimane prima di tornare sul posto. Ivan V. Seryodkin, dell'Accademia delle scienze russa, ha teorizzato che lo fanno per tenere la preda nascosta agli altri animali e per consentire alla carne di decomporsi ed essere più facilmente addentata.
Alexander è sopravvissuto bevendo la sua urina e ha pregato tutti i giorni affinché l’animale non tornasse. Le sue preghiere sono state esaudite visto che prima dell’orso sono arrivati i soccorsi: a trovarlo sono stati i cani di un gruppo di cacciatori che hanno portato i loro padroni all’interno della grotta.
In un video choc si vede in che stato è oggi Alexander: la pelle estremamente bianca, gli occhi che si riescono a malapena ad aprire, ferite e croste ovunque. I medici dicono che può muovere le braccia, ma è totalmente privo di forze: «Ha ferite gravi e parte del suo corpo si stava decomponendo. È un miracolo che sia riuscito a sopravvivere e che non sia stato ucciso».
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