"NELLA MIA AZIENDA SU 60 DIPENDENTI 57 HANNO IL COVID" - PARLA ANDREA FENN, IMPRENDITORE ITALIANO RESIDENTE A SHANGHAI: "SOLO A SHANGHAI SI PARLA DI 15 MILIONI DI CASI NELLE ULTIME 2 SETTIMANE. CHI NON HA IL VIRUS O È ASINTOMATICO O SE L’È GIÀ PRESO" - "IN CINA IL COVID NON ERA PRATICAMENTE MAI CIRCOLATO. IL BLOCCO TOTALE ERA AI CONFINI. BIRMANIA, THAILANDIA... E NELLA REGIONE OVEST DELLA CINA (DOVE VIVONO GLI UIGIURI)" - "OGGI CI SONO LE FILE DAVANTI AI BECCHINI AL NONNO DI MIA MOGLIE, ABBIAMO COMPRATO IL RESPIRATORE SU INTERNET…"
Giovanni Viafora per www.corriere.it
Andrea Fenn, toscano di Prato, 36 anni, fondatore e Ceo di Fireworks, azienda di soluzioni tecnologiche e marketing per il mercato cinese. Da 13 anni vive a Shanghai, dove fa anche il ricercatore alla Laidan University. Ha sposato una cinese, parla mandarino.
In Italia è tornata la preoccupazione per il Covid (e si testano i passeggeri in arrivo dalla Cina). Ma lì la situazione com’è?
«Nelle ultime due settimane, dopo la riapertura veloce e quasi inaspettata da parte del governo, c’è stata una crescita velocissima dei casi. E questa cosa ha preso tutti di sorpresa. Fino al 5 dicembre eravamo tutti obbligati a fare test giornalieri. Improvvisamente sono stati aboliti. C’è stata confusione all’inizio su cosa si dovesse fare. E oggi i contagi sono letteralmente esplosi».
ondata di contagi covid in cina
Avete una misura ?
«Nei giorni in cui le autorità avevano annunciato la riapertura erano state diffuse delle stime sul raggiungimento del picco nelle varie località. Per Shanghai era stata indicata la data del 15 gennaio; ma l’impressione è che quell’apice sia stato già abbondantemente superato. L’Istituto per il Commercio Estero (l’ICE, ndr) mi ha detto pochi giorni fa che si parla di 15 milioni di casi accertati nelle ultime due settimane».
In tutta la Cina?
«Macché! Solo a Shanghai. Parliamo di oltre il 60 percento della popolazione. Un numero incredibile. Ma secondo la mia personale osservazione siamo ben oltre l’80 percento».
Cioè?
«Noi in azienda siamo circa 60 persone, di queste hanno il Covid in 57. Solo due ragazzi non ce l’hanno avuto, sono quelli che vanno in giro spruzzando disinfettante ovunque. Ma lo prenderanno anche loro comunque».
E lei?
«Io non ce l’ho al momento. Ma perché l’ho preso quest’estate quando sono tornato per la prima volta in Italia. Il Covid mi aspettava in aeroporto con il cappello e la scritta “benvenuto”. Essendo “vergine” dal punto di vista del virus, me lo sono preso subito. E non è stata una passeggiata, anche per me che sono sano. Comunque chi al momento a Shanghai non ha il virus o è asintomatico o se l’è già preso. Anche se in questo caso parliamo di una percentuale infinitesimale».
In che senso?
«Perché in Cina il Covid non ha praticamente mai circolato. Mai. C’è stata una capacità incredibile del governo di contenere la diffusione della malattia. Mentre nel resto del mondo morivano i nonni e i parenti di tutte le persone che conoscevamo, noi abbiamo vissuto in un’isola felice».
Scusi, ma le immagini di Wuhan le abbiamo viste tutti...
«Wuhan, appunto. Ma nel resto della Cina abbiamo vissuto in una sorta di apertura completa, con poche restrizioni interne. Il blocco totale era ai confini. Birmania, Thailandia... E naturalmente nella regione Ovest della Cina (dove vivono gli Uigiuri, ndr). Ma lì il governo univa l’utile al “dilettevole”, se vogliamo dire così: ovvero, usare il Covid per controllare la popolazione».
Poi però cosa è successo?
«Che è iniziata una sorta di fase 2. L’annus horribilis. Che ho vissuto personalmente. Da febbraio-marzo 2022. Con il lockdown nelle grandi città, Shanghai in primis all’insegna della strategia zero-covid. All’inizio le maglie erano larghe: io ho avuto la fortuna di non essere chiuso in casa, perché come sempre in Cina ci sono delle valvole di sfogo spesso tollerate. Ma poi c’è stato un giro di vite tremendo».
Si spieghi.
«Da marzo in poi, compresa tutta l’estate. Una chiusura strettissima. Dovevamo testarci tutti dalla mattina alla sera. Per molte attività era richiesto addirittura un test al giorno per entrare. Senza alcuna eccezione. Poi il tracciamento, pervicacissimo. La Cina ha utilizzato un sistema basato sulla tecnologia e sui big data, in cui ha aiutato molto il fatto che le piattaforme social che si usano qui siano tutte prodotte e gestite da cinesi. Il sistema di tracciamento, che in Italia ha fallito, in Cina ha funzionato perfettamente».
A che costo?
«È stato oppressivo, la gente ha iniziato ad aver paura di scannerizzare il proprio qr code nei luoghi pubblici e privati per paura di essere indicato come contatto stretto (close contact) oppure addirittura come contatto stretto secondario (secondary close contact). Per cui eri costretto a stare in casa, oppure ad andare in uno degli alberghi indicati per l’isolamento. O peggio ancora ad andare in un centro Covid».
E a lei è capitato?
«Mia moglie ad un certo punto è stata definita close contact e doveva finire in un centro Covid. Che vi raccomando... Non piacevole: una sorta di ospedale da campo, non pensato per trascorrere un soggiorno piacevole. Per fortuna siamo riusciti ad evitarlo, grazie ad una grande battaglia con i distretti, spinta anche dal fatto che fossi uno straniero. Ci siamo fatti 7 giorni chiusi in casa».
Ma perché allora questa apertura improvvisa?
«Onestamente non ho capito. La narrazione era che l’apertura sarebbe arrivata dopo il congresso del partito comunista di novembre. E così è stato. Ma doveva essere graduale, come aveva prospettato anche JP Morgan. Invece è stata improvvisa. O almeno così noi la percepiamo».
La Cina nasconde i dati? Ci sono prove che il governo ha taciuto alcune verità durante la prima ondata, che potevano aiutare il mondo a contrastare il contagio.
«In Cina la percezione è che tante cose non siano ad appannaggio delle persone normali. È un fatto che esiste da sempre. L’intera struttura della società è i basata sull’asimmetria delle informazioni. Lo sviluppo economico cinese è la conseguenza dell’asimmetria delle informazioni. Per dire: poche persone sanno per esempio che un certo settore si sta per liberalizzare e si buttano a fare affari. Che i dati non siano quelli totali lo sanno tutti. Non esiste persona in questa nazione che creda che quello che venga detto non sia altro che la verità. Da un certo punto di vista quindi questa domanda per noi non ha senso. Ma noi non sappiamo neanche tutte le cose che il governo fa effettivamente. Se c’è stata una politica, una pianificazione».
Lei si è vaccinato?
«Certo, con il vaccino cinese, l’unico che nei due anni è stato a disposizione. Salvo rare eccezioni di supermanager occidentali che si facevano mandare Pfizer dagli Stati Uniti o dalla Germania. Ma sono state eccezioni, appunto. Io ho fatto quello cinese».
Non è che abbia funzionato molto...
«Difficile dirlo. La campagna vaccinale è effettivamente finita nel 2020/21, nell’ultimo anno praticamente non si è vaccinato nessuno. Perché in realtà la Cina aveva contenuto il virus in maniera talmente efficace che non c’è stato più bisogno di vaccinarsi. Lo sforzo si è spostato dalla vaccinazione al contenimento. Anche se questa in realtà è la colpa che molti analisti ora imputano al governo cinese. Ma non sappiamo come sarebbe andata diversamente».
Che significa?
«Che forse la politica del governo non era una follia. L’idea era che non ci si potesse permettere che in una nazione come la Cina un virus di cui si sapeva poco girasse incontrollato. Perché parlando di mortalità, è vero che oggi ci sono le file davanti ai becchini e che non si trovano i respiratori; ma non ci sono i morti agli incroci delle strade, cosa che sarebbe successo forse con una variante più grave. Ma non lo sappiamo».
Non si trovano i respiratori?
«E neanche antivirali, il Paxlovid. Al nonno di mia moglie, che è finito in ospedale, il respiratore l’abbiamo comprato su internet. In Cina tutto si può comprare su internet. Si creano subito mercati paralleli, aree grigie. È un mondo complesso».
In Italia c’è timore per le nuove varianti. Lì il virus che manifestazione sta dando? È una malattia che torna a colpire i polmoni?
«C’è una complicanza polmonare. L’esperienza diretta è che sia un’influenza molto pesante, non è una cosa che in due giorni sei al lavoro. Ed è una cosa che in persone che hanno problemi pregressi o anziani ha un impatto importante. Il nonno di mia moglie ha 97 anni. Dei miei 57 dipendenti con il Covid, al momento uno solo accusa complicanze».
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