Paolo Griseri per la Repubblica
Era successo un giovedì, il 26 marzo, al centro commerciale Lidl, sulla circonvallazione di Palermo. In trenta avevano provato a saltare le casse portando via la spesa senza pagare.
Era arrivata la polizia a bloccarli. Il tam tam su Facebook: un gruppo, "Rivoluzione nazionale", parlava di assalti ai negozi. Il 27 marzo la polizia in tenuta antisommossa presidiava i centri commerciali come fossero covi della rivolta. Al Viminale i collaboratori della ministra Lamorgese guardavano con preoccupazione quelle immagini sui monitor. Oggi si dice sia stato quell' episodio a spingere il governo a far distribuire ai Comuni 400 milioni di buoni pasto.
Per calmare la rabbia degli assalti e per evitare che il crimine organizzato prendesse la testa della protesta.
I problemi sono due: i soldi e il tempo. Tania Scacchetti segue il mercato del lavoro nella segreteria della Cgil nazionale. Riassume: «La manovra da 55 miliardi approvata dal governo ha l' obiettivo di salvare per queste settimane tutto il lavoro che c' era prima della crisi. Quello che tutti si chiedono è che cosa accadrà dopo, quando l' effetto della cassa integrazione svanirà. Chi ha cominciato la cassa a fine febbraio, alla chiusura delle prime aziende terminerà le 18 settimane concesse a metà giugno. Chi in queste settimane lavora a singhiozzo può sperare di prorogare la cassa fino a fine settembre. Poi si capirà quali lavori sopravviveranno e quali no. Abbiamo quattro mesi per salvarci».
Anche Luigi Sbarra, numero due della Cisl, mette l' accento sul tempo che stringe: «Abbiamo di fronte a noi mesi preziosissimi e decisivi. Con il decreto dei 55 miliardi il governo ha fatto, giustamente, una manovra difensiva per tutelare il lavoro che c' era.
Ma ora è urgente decidere una manovra di investimenti e di sviluppo.
Bisogna farlo entro l' autunno. Con un piano di rinnovo delle infrastrutture del Paese e di formazione professionale. Chi perderà il lavoro nelle prossime settimane dovrà essere messo nelle condizioni di trovarne un altro». I sindacati hanno chiesto un incontro urgente al governo per decidere il piano.
Fa paura il crollo previsto del Pil: dieci punti in meno nel 2020, 150 miliardi in meno nelle tasche degli italiani. Ma fa ancora più paura il blocco del lavoro nero e delle attività illegali. Quanti dei 150 miliardi del sommerso sono andati in fumo in questi mesi? E con quali conseguenze sociali? Lo si capisce chiedendo alla Caritas chi fa la fila per i pacchi di pasta e il pagamento delle bollette.
Pierluigi Dovis, responsabile a Torino, ha una casistica: «Colf e badanti in nero hanno visto sparire in pochi giorni il loro stipendio. Famiglie a loro volta rimaste senza introiti che hanno risparmiato sulla colf. Badanti lasciate a casa per evitare di contagiare gli anziani. Ma anche piccoli esercenti di negozi a conduzione familiare: vengono a chiederci di pagare le bollette perché hanno esaurito i 600 euro e le banche non danno il prestito da 25 mila». Tutte persone che l' epidemia rischia di mettere a terra. E i professionisti precari?
«Quelli nella fila non si trovano. Si vergognano. Mandano mail. Chiedono aiuto senza farsi vedere in giro.
Vivono una profonda depressione».
La formazione professionale che chiedono i sindacati dovrebbe servire anche a trovare un nuovo lavoro a chi lo sta perdendo. Per chi rimarrà sommerso c' è lo strumento incerto del reddito d' emergenza. Ma solo quando si conosceranno le vere dimensioni del lavoro che il virus ha distrutto si potrà decidere dove intervenire. Per ora, si ammette nei palazzi del governo, si naviga a vista. E non potrebbe essere altrimenti. I 55 miliardi del decreto serviranno, dov' è possibile, ad evitare che si interrompano le filiere. Ma l' urgenza è grande. Quando si alzerà la nebbia e si vedranno le macerie bisognerà essere pronti a far ripartire il Paese. Ci sono quattro mesi di tempo.