Marco Imarisio per il "Corriere della Sera"
Mancano due minuti alla chiusura delle votazioni e davanti al seggio nel quartiere Santo Stefano un ragazzo e una ragazza stanno litigando già da venti minuti. «Comunista» le grida lei. «Renziana» ribatte lui, e magari un giorno ci sarà da ragionare su come è potuto accadere che nel giro di pochi anni il cognome dell' ex ragazzo d' oro dei democratici sia diventato sinonimo del peggiore insulto.
La scatoletta di tonno del centrosinistra rimane ben sigillata. Anche questo è toccato sentire durante un istruttivo pomeriggio trascorso in coda ai gazebo bolognesi, dove il clima di contrapposizione reciproca, mai stemperato da un sorriso, da un riconoscimento comune, è stato tale da far quasi dimenticare che si trattava di primarie interne e di coalizione, quindi quasi una lotta tra consimili.
Invece la sensazione è stata quella di un conflitto tribale, scandito dagli stessi insulti che i due candidati si sono scambiati durante questi due mesi di campagna elettorale.
Servo dei padroni delle Coop, marionetta della destra, e via dimenticando quelle che dovrebbero essere radici comuni.
Tanto tuonò che alla fine caddero due gocce. «Ci confermiamo come la città più progressista d' Italia, con un centrosinistra forte e largo.
Adesso si parte, e sarà una bellissima storia, da scrivere insieme, senza lasciare indietro nessuno».
Matteo Lepore, il candidato del sistema-Bologna secondo la vulgata dei suoi molti avversari dentro e fuori il partito, si aggiudica la contesa con un certo agio, sconfiggendo Isabella Conti che ha rappresentato senz' altro una ventata di aria fresca: «Ero Davide contro Golia, ma ho aperto una breccia verso il futuro. Ora sosterrò Lepore».
Alla prova dell' urna Conti, che ha raccontato di aver ricevuto una calorosa telefonata da Enrico Letta, paga uno scarso ancoraggio al territorio, ed era previsto, essendo sindaca in carica di San Lazzaro di Savena, e soprattutto il fatto di essere stata infine percepita come indipendente ma non troppo. Perché soprattutto negli ultimi giorni è apparso chiaro che gli schemi erano saltati, quasi ricalcando il percorso delle Regionali del gennaio 2020, quando però dall' altra parte della barricata c' era Matteo Salvini e non un alleato o quasi.
I ragazzi che discutevano in modo così acceso non sono andati a votare per due diverse idee di città, non si stavano mandando a quel paese per il passante autostradale, il destino delle ex caserme o quello dell' azienda multiservizi Hera. Non si finisce a urlare per questi pur rispettabili temi. Per due idee di centrosinistra una all' opposto dell' altra invece è possibile farlo, anche se forse è proprio in questa animosità e mancanza di propensione al compromesso che la vicenda delle primarie bolognesi dice qualcosa sul destino della coalizione e sulla missione quasi impossibile di pacificazione che attende Enrico Letta o chiunque altro segua l' utopia di una casa comune.
Mai Lepore, che da un decennio studiava da sindaco, si sarebbe immaginato primarie di rilievo così nazionale. A premiarlo, dopo una campagna elettorale dove spesso si è fatto dettare l' agenda dalla rivale, è stata l' immagine di fedele alla linea ufficiale del partito, comunque un dogma che ancora regge da queste parti. E forse a Conti non ha giovato l' appoggio così esplicito di quella parte del Pd cittadino che fa capo alla corrente percepita come «renziana» di Base riformista.
mattia santori con enrico letta e matteo lepore
Le periferie di sinistra hanno votato in massa per Lepore. Al seggio del Pilastro, nel gennaio di due anni fa teatro della famosa citofonata di Salvini che tanto danneggiò la sua candidata Lucia Borgonzoni, l' assessore «ortodosso» ha vinto con uno scarto di 130 voti su 443 schede.
Al quartiere Reno ha preso il 77 per cento. Il voto in presenza, che spesso identifica i militanti più convinti, è stato superiore alle attese per quantità, e quasi plebiscitario nei suoi confronti. Quello online ha margini molto più contenuti, 2.400 preferenze contro le 2058 della sua avversaria. Sono dati che dimostrano come in qualche modo a Bologna sia scattato in piccolo lo stesso meccanismo auto conservativo che consegnò a Bonaccini una vittoria insperata, almeno nelle dimensioni.
La retorica del «Renzi come Salvini» cavalcata da Lepore ha dunque pagato i suoi dividendi. E forse il margine così netto mette il candidato ufficiale del centrosinistra al riparo da possibili colpi di coda. Da ieri sera, lo spauracchio di una corsa in solitaria della sua ormai ex avversaria con una lista civica e centrista che potrebbe ingolosire anche un centrodestra da tempo rassegnato all' irrilevanza cittadina, non esiste più. Ma al tempo stesso, nonostante gli scontati buoni propositi del vincitore, una frattura così netta e profonda all' interno dello stesso schieramento appare ben difficile da risanare. «Non voterò mai per voi» si ripetevano all' unisono i due ragazzi fuori dal seggio.
Anche le primarie nel villaggio di Asterix bolognese confermano che l' eterna maledizione del centrosinistra è viva, e lotta insieme a loro.