Adriano Scianca per “la Verità”
ALICE COFFIN - LE GENIE LESBIEN
Avviso alla commissione straordinaria del Senato per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza, meglio nota come commissione Segre: stanno circolando per l'Europa due testi che istigano pesantemente all'odio. In Italia non sono ancora sbarcati, ma è bene iniziare a vigilare, come retorica insegna, giusto? I due testi sono Le génie lesbien, di Alice Coffin e Moi les hommes, je les déteste, di Pauline Harmange.
Quest' ultimo ha già sollevato un dibattito enorme, di cui pure in Italia è giunta qualche eco, anche in virtù di un titolo decisamente esplicito: Io gli uomini li odio (è vero che l'autrice usa il più tenue détester, anziché haïr, cioè odiare, appunto, ma basti vedere i titoli delle traduzioni inglesi e tedesche - I Hate Men, Ich hasse Männer -per capire che è di quello che si parla, di odio). Cominciamo però dalla Coffin, perché il suo testo è meno conosciuto ma, se possibile, persino più violento. Il suo libro è una vera dichiarazione di guerra ai maschi. Tutti.
PAULINE HARMANGE - MOI LES HOMMES JE LES DETEST
Lo scenario dipinto è apocalittico: «Tutti i giorni ci sono delle minacce di morte perfettamente pubbliche contro di noi. [] Tutti i giorni contiamo i nostri morti. Sono colpita da ogni nuovo annuncio. Non passa mai. Non so se morirò senza aver ferito un uomo». Per quanto blesser, come in italiano, possa significare anche ferire nell'animo, il contesto non lascia spazio a dubbi: l'autrice sta ipotizzando di attaccare fisicamente i maschi.
Subito dopo, del resto, fuga ogni dubbio citando una frase di Christiane Rochefort: «C'è un momento in cui occorre tirar fuori i coltelli. È solo un dato di fatto, puramente tecnico. È fuori questione che l'oppressore possa comprendere da sé che egli opprime, dato che questo non lo fa soffrire». Parlando delle offese ricevute online, la Coffin dice: «Lo so che loro vogliono che io crepi. Non so come finirà. Se loro avranno la pelle dell'umanità prima che noi abbiamo la loro, se tireremo fuori i coltelli.
Oppure, non riuscendo a prendere le armi, organizzeremo un blocco femminista. Non andare a letto con loro, non vivere con loro ne è una forma. Non leggere i loro libri, non vedere i loro film, è un'altra. A ciascuna i suoi metodi. Noi abbiamo il potere, senza eliminarli fisicamente, di privare gli uomini del loro ossigeno: gli occhi e le orecchie del resto del mondo. [] Non ho soluzioni, ma non ho alcuna esitazione. La posta in gioco è troppo importante. Chi, fra l'uomo e l'umanità, soccomberà per primo?».
La scelta di non eliminare fisicamente gli uomini, lo si capisce bene, è presa quasi a malincuore, per mancanza di mezzi, più che di volontà. Per il resto, il gergo è quello della lotta senza quartiere. Ma sono proprio tutti gli uomini, presi in blocco, a rappresentare questa minaccia stragista? L'autrice, bontà sua, è disposta in linea del tutto teorica ad ammettere che non sia così, ma rivendica il diritto di generalizzare: «Non so quale massa di uomini supplementari bisognerebbe mettere sulla bilancia per smettere di denunciare "gli uomini", di scrivere "certi uomini", "degli uomini", "qualche uomo", ma so che si conta in teragrammi, non in grammi».
Pauline Harmange, dal canto suo, rivendica le virtù della misandria, definita «necessaria, persino salutare»: «Odiare gli uomini, in quanto gruppo sociale e spesso anche in quanto individui, mi apporta un sacco di gioia - e non solamente perché sono una vecchia strega che ama i gatti. Se fossimo tutte misandriche, si potrebbe metter su una bella e grande sarabanda».
Si dirà che dietro il termine misandria l'autrice voglia indicare qualcosa con più sfumature. È la stessa Harmange a sostenere il contrario, quando, all'inizio del suo pamphlet, precisa: «Parlerò di misandria come di un sentimento negativo riguardo alle persone maschili nel loro insieme». Spropositi talmente pesanti da allertare persino il ministero francese delle Pari opportunità. O quanto meno un suo funzionario, Ralph Zurmély, che ha scritto alla casa editrice: «Mi permetto di ricordarvi che l'incitamento all'odio sulla base del sesso è un reato! Per questo vi chiedo di rimuovere immediatamente questo libro dal vostro catalogo a meno che non vogliate incorrere in conseguenze penali».
Il ministero, coraggiosamente, ha però chiarito che l'email di Zurmély è «un'iniziativa personale e del tutto indipendente dal ministero». In questo delirio, la cosa davvero divertente è che, se la Coffin è lesbica, la Harmange, benché bisessuale, è... sposata con un uomo. Un uomo che ama, persino.
Ma si sente in dovere di specificare in nota: «Questa scelta va per lo meno posta nel suo contesto. In quanto donna bisessuale, chi può dire cosa sarebbe la mia vita oggi se non fossi stata confrontata molto presto con l'omofobia della società e del mio ambiente?». Insomma, ama suo marito, sì, ma è stato un incidente, è la società che l'ha costretta a farlo. «Oggi», spiega, «pur amando il mio partner e senza pensare un secondo di separarmene, continuo a pensare e a rivendicare la mia ostilità verso gli uomini. E a metterlo nel paniere». Quando il pover' uomo scriverà il suo, di pamphlet, allora sì che scopriremo cosa vuol dire odiare.