E SE VIVESSIMO TUTTI IN UNA REALTA' SIMULATA, COME IMMAGINATO NEL FILM "MATRIX"? IL DOCUMENTARISTA RODNEY ASCHER HA INDAGATO LA STRAMBA TEORIA, E INTERVISTATO I SUOI TONTI SEGUACI - TRA QUESTI LA STRAZIANTE TESTIMONIANZA DI JOSHUA COOKE, CHE A 19 ANNI UCCISE I GENITORI ADOTTIVI NEL TENTATIVO DI DISCERNERE SE STAVA, IN EFFETTI, VIVENDO ALL'INTERNO DI MATRIX E...

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Dagotraduzione dal Daily Beast

 

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La teoria della simulazione, secondo cui la realtà potrebbe non essere effettivamente reale ma solo un’illusione di cui non siamo consapevoli, e dalla quale possiamo eventualmente risvegliarci, è stata studiata da tutti, da Platone e Cartesio fino a Philip K. Dick e The Matrix. È una fantasia di fuga e asservimento, liberazione e manipolazione, che attinge alle nostre esperienze muovendosi tra stati consci e inconsci, oltre a perdersi nel mondo immaginario del cinema.

 

Si tratta proprio dell’argomento ideale per il documentarista Rodney Ascher, che sulla scia di Room 237 e The Nightmare, si avventura ancora una volta in un terreno irreale con “A Glitch in the Matrix”, uno sguardo avvincente sulla possibilità che siamo tutti avatar in un gioco che non possiamo comprendere.

 

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Il discorso di Dick del 1977 a Metz, in Francia, intitolato “Se trovi questo mondo brutto, dovresti vedere alcuni degli altri”, costituisce la spina dorsale di “A Glitch in the Matrix” (che sarà proiettato in anteprima nella sezione di mezzanotte del Sundance Film Festival il 5 gennaio). Nel suo discorso, l’autore di “Un oscuro scrutare”, “L’uomo nell’alto castello”, “Minority Report”, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche” (da cui è stato tratto “Blade Runner”), “Memoria Totale” (alla base di “Atto di forza”) confessa di aver avuto nel 1974, grazie a una dose di Pentothal di sodio per i denti, un «lampo acuto» che gli ha resistuito la «memoria» di un mondo, e di una vita, che non era la sua. Dick ha descritto ampiamente questa sua esperienza (nota come “2-3-74”) nel libro postumo “L’esegesi di Philip K. Dick”.

 

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Dick è stato il moderno padrino della teoria della simulazione e “A Glitch in the Matrix” trascorre molto tempo con persone che hanno preso i suoi scritti, così come il film di Lana e Lilly Wachowski “The Matrix”, e li hanno fatti propri. Nelle interviste su Skype con Ascher, queste persone appaiono travestite come stravaganti avatar digitali: un leone corazzato dalla faccia rossa, un drago in stile Mechagodzilla in smoking, un alieno in una grande tuta spaziale, e un guerriero con in testa un elmo e occhi e bocca digitali.

 

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Il loro modo di apparire racconta la loro fede nei duelli tra le realtà, supportata anche dalla convinzione pubblicamente dichiarata di Elon Musk che potremmo vivere in una simulazione artificiale gestita da esseri avanzati, e da un documento accademico del 2003 del professor Nick Bostrom dell’Università di Oxford, dal titolo “Are You Living in a Computer Simulation?”, in cui lo scienziato avanza l’ipotesi che potremmo essere pedine di un programma iper-avanzato che ricrea un passato che è già avvenuto (chiamata “simulazione antenata”) oppure una nuova linea temporale alternativa.

 

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Le nozioni trasmesse da questi relatori abbracciano un po’ tutto, dagli aneddoti sulle loro rotture con la realtà, alle discussioni su coincidenza, probabilità e sincronicità, a speculazioni oltraggiose e altamente specifiche sui dettagli della nostra simulazione. Non tutto è convincente. Ma allo stesso tempo è un modo divertente e perspicace di rappresentare il continuo desiderio dell’umanità di spiegare i grandi misteri attraverso concetti spirituali usando una via scientifica su regni stranieri, poteri superiori da burattinaio e sfruttamento tecnologico.

 

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Uno degli intervistati (Paul Gude, alias il “leone”) ammette che forse la teoria della simulazione è semplicemente il mezzo più semplice con cui il suo cervello sceglie di far fronte alla complessità dell’esistenza umana. E confessa che la sua teoria basata sulla realtà virtuale potrebbe essere il sottoprodotto del fatto che le persone cercano sempre di spiegare la realtà attraverso la tecnologia più avanzata disponibile al momento. Attraverso spezzoni di film, “A Glitch in The Matrix” suggerisce che i film sono un veicolo fondamentale sia per creare che per canalizzare queste idee, che sono spesse frutto di sentimenti di solitudine, alienazione e disperazione, e quindi possono portare a conseguenze spaventose.

 

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Ne è testimonianza straziante la sequenza in cui Joshua Cooke spiega come la sua infatuazione per “The Matrix”, unita alla sua vita domestica percepita come abusiva e alla malattia mentale non diagnosticata, lo abbia portato a uccidere i suoi genitori adottivi nel tentativo di discernere se stava, in effetti, vivendo all’interno di Matrix (la sua conclusione: «Mi ha davvero incasinato molto, perché non era niente di simile a quello che avevo visto in Matrix. Il fatto che la vita reale fosse molto più orribile, un po’ mi ha scosso»).

 

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Cooke aveva 19 anni quando uccise i suoi genitori adottivi con un fucile da caccia calibro 12, in Virginia. Si dichiarò colpevole e fu condannato a 40 anni di carcere. Divenne noto come “The Matrix Case” e, come chiarisce la storia di Cooke, il pericolo della teoria della simulazione è che, se niente e nessuno è autentico, le preoccupazioni etiche sulla società e sui tuoi simili sono irrimediabilmente minate, portando a un potenziale caos.

 

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Non sorprende che i collegamenti tra i videogiochi e la teoria della simulazione siano numerosi: Jesse Orion (ovvero l'astronauta alieno) afferma di aver passato anni a fare poco più che giocare ai videogiochi e “A Glitch in the Matrix” attinge a questa connessione utilizzando tutti i tipi di grafica animata al computer (inclusi Google Earth e Minecraft) per visualizzare le supposizioni dei suoi soggetti. Illuminante e divertente, la giocosa forma digitale del film riflette e rivela verità sul suo contenuto.

 

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Impostato sulla minacciosa colonna sonora elettronica di Jonathan Snipes, e affrontando anche il modo in cui il déjà vu e l'"Effetto Mandela" si relazionano al suo argomento centrale, “A Glitch in the Matrix” continua lo studio di saggistica di Ascher su racconti comuni, ipotesi scientifiche e analisi dell'arte. Offrendo un coro di voci che cercano di decifrare gli enigmi dell'universo e dell'atomo attraverso visioni fantasiose della mente, del corpo e della realtà stessa, il suo film è un'indagine che apre gli occhi e critica abilmente le nostre percezioni in evoluzione di chi siamo, la nostra connessione profondamente personale con i sogni del grande schermo e la nostra persistente ricerca di conoscenza delle cose che (ancora) non comprendiamo. È un trattato sull'anelito religioso e scientifico, e sugli impulsi e le aspirazioni umane, che funge anche da ritratto di teorie cospirazioniste strampalate e delusioni di massa.

 

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