Andrea Ducci per il "Corriere della sera"
Agosto, settembre e ottobre. Tre mesi di incasso perduti che sarà quasi impossibile recuperare. Nel gorgo di Thomas Cook sono finiti anche hotel e alberghi italiani che lavorando con il gruppo inglese non hanno ricevuto il saldo delle prenotazioni di camere e pacchetti di soggiorno. Il tour operator, una volta incassati i soldi dai clienti, pagava gli alberghi a 30 giorni, gli ultimi pagamenti sono stati effettuati alla fine di agosto per saldare le prenotazioni del mese di luglio. Poi più nulla. Le strutture più colpite sono quelle nelle località di mare nelle regioni del sud, ma anche in Toscana, Liguria e Lombardia (per il turismo sui laghi).
La dimensione esatta del danno non è chiara ma Federalberghi, associazione a cui in Italia fanno capo 27 mila hotel su un totale di 33 mila, ha già effettuato una ricognizione su una vicenda che si configura come una mina per i conti del settore. Il fallimento di Thomas Cook, del resto, si è ingoiato tutti gli incassi per le prenotazioni dei clienti inglesi e, soprattutto, dei turisti tedeschi che hanno prenotato un vacanza in Italia attraverso la controllata del tour operator in Germania.
«In queste ore - spiega Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi - stiamo raccogliendo i dati e dalla prima radiografia il buco è già oltre i 100 milioni di euro, perciò è probabile che il calcolo finale porti la cifra vicino ai 300 milioni». Una botta che rischia di mettere in ginocchio le strutture più piccole e gli alberghi a conduzione familiare. «Il danno è intuibile. Thomas Cook pagava in media a 30 giorni, significa che dopo il saldo per il mese di luglio sono rimasti in sospeso agosto e i primi venti giorni di settembre, ma andranno perdute anche le prenotazioni residue di questo mese e quelle di ottobre».
Per alcuni hotel rischia di tradursi in perdite di oltre il 70% del giro di affari annuo. In Turchia, dove il default di Thomas Cook ha travolto il settore del turismo, il governo ha già annunciato misure fiscali in favore delle imprese danneggiate. In Italia a occuparsene spetta a Lorenza Bonaccorsi, neo sottosegretario con delega al Turismo. «È un po' prematuro, non sappiamo ancora quante aziende e in che misura sono state colpite. Ma l' intento è di mettere in campo una serie di misure e stimoli fiscali per supportare il settore», dice Bonaccorsi.
IL TRACOLLO DI THOMAS COOK È UN MACIGNO SUGLI HOTEL ITALIANI
Marco Cimminella per it.businessinsider.com
All’indomani del tracollo di Thomas Cook, anche in Italia bisogna fare il conto delle perdite. Lo storico tour operator inglese opera da anni nel nostro Paese, grazie agli accordi di collaborazione stretti nel tempo con resort, hotel e diverse strutture ricettizie. Che ora sono impegnate a quantificare i danni, tra mancati pagamenti e prenotazioni future cancellate. Federalberghi parla di un “rischio tsunami”, con imprese che vantano crediti per centinaia di migliaia di euro. “In Campania sono stati colpiti almeno trenta alberghi, soprattutto nella penisola sorrentina, una delle mete più popolari tra i turisti stranieri” spiega a Business Insider Italia Costanzo Iaccarino, proprietario di due strutture nella regione. “È stato un colpo secco per le imprese della zona, stimiamo danni per circa 4 milioni di euro“.
L’operatore turistico britannico è stato messo in liquidazione per insolvenza, dopo che il governo di Boris Johnson ha detto no all’operazione di rifinanziamento da 150 milioni di sterline per salvare una realtà nata nel 1841. La fine della società ha comportato l’immediato blocco delle attività, generando caos e disagi soprattutto tra i 600 mila turisti (150 mila britannici) che avevano deciso di affidarsi ai suoi servizi per organizzare le vacanze.
Ma la debacle finanziaria di Thomas Cook ha avuto un impatto negativo anche per le imprese italiane che con la società inglese avevano sempre lavorato bene. “Gestisco due hotel nella Penisola sorrentina, il Tramontano a Sorrento e lo Iaccarino a Massa Lubrense“, racconta Costanzo Iaccarino, che è anche presidente di Federalberghi Campania. “Thomas Cook è uno dei brand più famosi e riconosciuti, ha sempre lavorato bene con le aziende del comparto campane. C’era un buon rapporto di fiducia, anche perché gli inglesi rappresentano il 40 per cento dei turisti stranieri che scelgono la costiera per le proprie vacanze”.
Ma la rovinosa caduta del gruppo britannico, piegato dai debiti, è stato un colpo improvviso per gli imprenditori italiani. Federalberghi ha messo in piedi una task force per censire tutte le strutture coinvolte e valutare il danno, anche in relazione alle future prenotazioni.
Ma se stupisce la brevità dei tempi in cui si è consumata la fine di un’azienda pioniera del turismo di massa, le avvisaglie della crisi non sono mancate. “Gli ultimi pagamenti sono stati effettuati all’inizio di agosto. Ma nonostante i nostri solleciti, non ci siamo insospettiti. Questo perché saldavano sempre i conti a trenta giorni e perché i nostri rapporti erano sempre stati positivi”, sottolinea Iaccarino. Che aggiunge: “Inoltre i manager della società dovevano presentare il bilancio al primo ottobre, quindi per dimostrare di avere in cassa una certa liquidità ci hanno detto che avrebbero pagato appena dopo la fine di settembre”. E così le imprese italiane si sono ritrovate con il cerino acceso in mano.
Ora le strutture associate a Federalberghi si stanno organizzando, per avviare un’indagine generale e preparare un’azione unitaria. “Valutare il danno complessivo è complicato, ci vorrà un po’ di tempo. Intanto, in base ai nostri calcoli, stimiamo una perdita dai tre ai quattro milioni di euro solo per gli hotel della penisola sorrentina”, precisa l’imprenditore campano.
bernabò bocca foto mezzelani gmt
La Federazione degli alberghieri ha intanto chiesto al Governo italiano di intervenire con urgenza “presso le autorità inglesi e degli altri paesi in cui operano le società del gruppo di Thomas Cook per tutelare la posizione delle imprese italiane”. E ha sollecitato gli associati a “informare eventuali clienti che hanno prenotato con Thomas Cook e che stanno per arrivare” che dovranno saldare il conto in albergo, “per poi chiedere alle competenti autorità inglesi il rimborso di quanto versato” al tour operator britannico.
La fine di Thomas Cook si inserisce in quel contesto di rivoluzione digitale che ha colpito le vecchie realtà del settore, cambiando anche il modo dei consumatori di organizzare le proprie ferie. Da AirBnb a Expedia, fino a Booking, sempre più persone si affidano ai servizi online e alle nuove formule di vacanza che spesso battono i pacchetti preparati dagli operatori tradizionali. “Non è la prima volta che un tour operator va in crisi. Negli ultimi anni anche altre realtà hanno affrontato grandi difficoltà, come Amandatour e Tempo Holidays in Australia”, conclude Iaccarino.
Una situazione simile si è verificata in altri paesi bagnati dal Mediterraneo, che in questi anni hanno contato molto sui servizi turistici di Thomas Cook. Dalle isole iberiche alla Grecia, fino alla Tunisia le strutture ricettizie sono preoccupate per le fatture non pagate. In Spagna, una delle mete più gettonate e in cui il tour operator era molto presente, il debito verso gli albergatori potrebbe ammontare a circa 200 milioni di euro, secondo i dati della federazione Exceltur. Proprio nella penisola iberica, gli aerei del gruppo britannico avevano trasportato circa 7,3 milioni di turisti nel 2018, pari a quasi il 9 per cento del numero totale di viaggiatori, calcola Afp.
Amaro il conto anche in Bulgaria, dove gli imprenditori della località balneare di Sunny Beach si aspettano perdite per 35 milioni di euro. Mentre in Grecia, la confederazione del turismo Sete prevede un impatto complessivo che oscilla tra i 250 e i 500 milioni di euro: qui il turismo rappresenta quasi un terzo del Pil e i clienti di Thomas Cook rappresentavano l’8,5% del totale dei visitatori nel 2018. Stessa storia in Tunisia, dove la società non onora debiti per 65 milioni di euro: qui il 5 per cento dei turisti europei in visita ha prenotato con Thomas Cook.
La crisi dell’operatore inglese non danneggia solo gli albergatori, ma genera effetti a cascata su fornitori, autobus turistici, agenzie di autonoleggio, bar, ristoranti e tutti gli altri servizi collegati. E in tutta Europa diverse aziende si stanno preparando per andare in tribunale.