PER CHI SUONA LA CAMPANIA – A BENEVENTO UCCISO GIUSEPPE MATARAZZO, IL PASTORE CHE AVEVA VIOLENTATO LA 13ENNE MICHELA IORILLO: ERA STATO SCARCERATO 20 GIORNI FA – LEI SI ERA SUICIDATA NEL 2008, LASCIANDOGLI UNA LETTERA: “NON POTREMMO MAI STARE INSIEME” – L'IPOTESI DELLA VENDETTA, IL PADRE DELLA RAGAZZA: "NON LO PERDONEREMO MAI, MA NON GLI ABBIAMO SPARATO NOI"

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1 – UCCISO IL PASTORE PEDOFILO SCARCERATO VENTI GIORNI FA «È STATA UNA VENDETTA» `

Gigi Di Fiore per “il Messaggero”

 

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Solo una cinquantina di metri separano le case rurali degli Iorillo e dei Matarazzo. Dieci anni di doppie tragedie hanno avuto per scenario via Bocca con i terreni di olivi che la circondano.

 

Solo da 19 giorni, Giuseppe Matarazzo, 45enne, era uscito dal carcere.

Aveva scontato la condanna per violenza carnale su Michela, la quindicenne che il sei gennaio di dieci anni fa, lasciando una lettera di spiegazioni a lui indirizzata, si era impiccata con una corda di nylon non lontano dalla casa di famiglia.

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Una storia drammatica, dai contorni torbidi e conseguenze psicologiche devastanti per tutti i protagonisti.

 

L' ESECUZIONE

Il condannato per violenza sessuale nei confronti di una ragazzina, allora non ancora quattordicenne, esce dal carcere. Torna a casa, a pochi metri dalla famiglia parte civile nel suo processo e, dopo pochi giorni, viene ucciso in circostanze da vera esecuzione, come hanno ricostruito i carabinieri del comando provinciale su delega della Procura di Benevento.

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La casa rurale dei Matarazzo ha un trattore fermo, uno scalone che dà al primo piano e scende verso un' ampia aia. L' altra sera, Giuseppe e la mamma Evelina erano proprio qui fuori.

 

Si è avvicinata una Bmw nera con due uomini. «Sapete indicarci la strada per Montesarchio? Ci siamo persi» dicono. Ricevono l' informazione, poi quando Giuseppe si gira per raggiungere la madre e salire in casa, sparano con una P38. Cinque colpi, due raggiungono il bersaglio.

 

L' auto parte di corsa, mentre da casa scende Pasquale il papà di Giuseppe e poi arriva anche Teresa, la sorella. Tentano di soccorrerlo, ma non c' è nulla da fare.

 

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L' INCHIESTA

«Non possiamo sapere chi è stato, ma secondo noi è una vendetta» dicono i Matarazzo al loro legale, l' avvocato Antonio Leone.

 

Dal processo, hanno sempre urlato l' innocenza di Giuseppe, anche dopo la condanna. Teresa voleva cercare una strada per chiedere la revisione e lo aveva ripetuto al difensore del dibattimento, l' avvocato Vittorio Fucci. Una convinzione, in contrasto con le ferite ancora aperte della famiglia Iorillo.

 

Da dieci anni, brucia il suicidio di Michela. Brucia anche quella lettera, indirizzata a Giuseppe, in cui cerca di spiegare quella che definisce «una pazzia».

 

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Scriveva Michela: «Hai ragione, io e tu non potremmo mai stare insieme, il solo pensiero che finirà mi fa impazzire, non riesco a pensare che quello che ho sempre desiderato, per colpa dei miei debba finire. Così ho deciso che la cosa migliore è farla finita».

 

L' annuncio di una morte, cercata appesa ad un albero a pochi metri da casa. Iorillo e Matarazzo, famiglie di pastori e agricoltori, famiglie semplici, con valori saldi e dalle poche parole.

 

In questi dieci anni, attraversati dal suicidio di Michela, l' arresto e il processo di Giuseppe, con la sua condanna e il carcere, le tensioni in via Bocca non si sono mai spente.

 

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Le due famiglie si sono ignorate, ricostruendosi ognuno una rete e una vita di nuovi affetti e speranze. Giuseppe aveva avuto una relazione con Cristina, la sorella maggiore di Michela.

 

E proprio Cristina, al processo, aveva dichiarato nell' udienza del 30 giugno 2010: «Chiesi a mia sorella, che me lo negò, se oltre all' amicizia con lui ci fosse dell' altro».

 

E ancora: «Mi escluse che ci fosse stato quello che immaginavo». Giuseppe ha sempre ripetuto che con Michela aveva avuto un «rapporto d' affetto platonico».

 

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IN CERCA DI RIABILITAZIONE

Aveva ricevuto la condanna, aggravata in appello e scontata in carcere a Napoli. Da quando era uscito a fine giugno, a qualcuno aveva confidato di volere una riabilitazione, di voler rimettere in discussione quella macchia infamante.

 

I carabinieri indagano e ipotizzano la pista di una vendetta legata al suicidio di Michela.

Ma non escludono altre ipotesi. Una è legata alle conoscenze e ai contatti che, in carcere, ha potuto intrecciare Giuseppe. E intanto, nella breve traiettoria delle case Iorillo e Matarazzo, il dolore sembra non avere mai fine.

 

2 – PEDOFILO UCCISO, IPOTESI VENDETTA: «MAI IL PERDONO, MA NON GLI ABBIAMO SPARATO»

Fulvio Bufi per www.corriere.it

 

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Lucio Iorillo al suo avvocato lo ha detto subito: «È ovvio che adesso sospetteranno di noi, però non c’entriamo niente». Lui è riuscito pure a rimanere tranquillo quando, intorno a mezzanotte, si è visto i carabinieri davanti alla porta di casa che gli chiedevano di entrare a dare un’occhiata perché era appena stato ammazzato l’uomo che poco più di dieci anni fa abusò per un lungo periodo della figlia di Lucio, Michela, appena quattordicenne quando tutto iniziò.

 

Una storia tragica: Michela non raccontò nulla in casa, ma dopo un paio d’anni di quella vita si uccise, e solo allora venne fuori il suo incubo, si scoprì che quell’uomo molto più grande di lei, Giuseppe Matarazzo, un vicino di casa, l’aveva completamente soggiogata, e che in precedenza aveva abusato anche della sorella di Michela, Cristina.

 

Ora Matarazzo è stato ucciso, con cinque colpi di pistola, pochi giorni dopo essere uscito dal carcere dove aveva scontato una condanna a undici anni per quelle violenze. E Lucio Iorillo non muove un muscolo, quando glielo dicono.

 

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Piuttosto si preoccupa per sua moglie Maria Immacolata, che invece ha quasi un collasso, perché - spiegherà poi - a sentire quel nome le si è riaperta la ferita che si porta sul cuore dal giorno dell’Epifania del 2008, quando Michela si impiccò. E anche perché pure lei si rende conto che non si può non sospettare di loro.

 

Avevano un motivo fin troppo valido per odiare Matarazzo, e certe cose non passano con il tempo. Lo avevano pure detto al comandante della stazione dei carabinieri del paese, che qualche mese fa li aveva convocati per chiedere se volessero fare una dichiarazione di perdono in favore di Matarazzo.

 

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È una richiesta abituale che si fa alle parti civili quando un condannato ha maturato il diritto di accedere a permessi o a misure detentive attenuate, ma in questo caso era anche un po’ un tentativo di mediazione visto che ormai a breve Matarazzo comunque sarebbe tornato a casa, e quindi gli Iorillo lo avrebbero sicuramente incontrato.

 

Loro comunque dissero no, non avevano nessuna intenzione di perdonare quell’uomo che seppure per l’induzione al suicidio non era stato condannato, aveva comunque rovinato la vita di Michela e quella di tutta la famiglia.

 

Lucio è un pastore, come lo era anche Matarazzo, e dei pastori ha la naturale confidenza con la solitudine e il silenzio.

 

vittime di stupro vittime di stupro

Quella volta in caserma fu educato ma fermo, e liquidò la questione quasi a monosillabi. E in silenzio è rimasto pure quando gli è stata perquisita la casa, ha solo telefonato al legale che lo seguì durante il processo, l’avvocato Raimondo Salvione, chiedendogli di raggiungerlo.

 

Quando, però, è stato ascoltato in caserma durante le prime ore di indagini, non ha avuto bisogno di un difensore, perché non è indagato.

 

Gli hanno chiesto dove si trovasse l’altra sera all’ora dell’omicidio, e lui ha risposto che era a cena da parenti, ben lontano da contrada Selva, la zona di campagna dove, a pochi metri di distanza, abitano le famiglie Iorillo e Matarazzo.

 

E non è lontana nemmeno la casa di Rocco, l’unico figlio maschio di Lucio, che pure ha subito una perquisizione, giovedì notte. E se dall’abitazione del padre i carabinieri non hanno portato via niente, qui si sono fatti consegnare i due fucili da caccia che l’uomo possiede, con tutte le necessarie autorizzazioni.

 

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Anzi, è stato lui stesso ad andarli a prendere per darli ai militari. Del resto la sua passione per la caccia in paese è nota, ed è risaputo pure che avesse delle armi.

 

Ora i fucili saranno esaminati, ma non dovrebbero avere nulla a che fare con l’agguato, visto che Matarazzo è stato ucciso con una calibro 38. Pare che mentre stava entrando in casa qualcuno in auto gli abbia chiesto una indicazione, e quando lui si è avvicinato gli hanno sparato.

Se la ricostruzione è esatta, si dovrebbe trattare di persone a lui sconosciute, che ora i carabinieri - coordinati nell’inchiesta dal procuratore di Benevento Aldo Policastro e dall’aggiunto Giovanni Conzo - stanno cercando di individuare anche visionando le registrazioni delle telecamere che si trovano in zona.

 

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