VA’ DOVE TI PORTA IL GPS - I SISTEMI DI NAVIGAZIONE SATELLITARE CI HANNO MANDATO FUORI STRADA IL CERVELLO - LA DIFFUSIONE DELLA TECNOLOGIA DEL GPS HA RIDOTTO LE NOSTRE ABILITA’ MENTALI E, ADDIRITTURA, CI HA MODIFICATO L’IPPOCAMPO -

Molto grande nei tassisti di Londra capaci di tenere a mente fino a 25 mila strade, secondo i ricercatori canadesi della McGill University, l’ippocampo, la parte del cervello nella quale risiede la capacità di orientare il movimento, si riduce fino ad atrofizzarsi in chi fa un uso eccessivo del Gps... -

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Massimo Gaggi per “La Lettura - Corriere della Sera”

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Dal nipote di Lady Diana che, preso un taxi a Londra per andare a Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea, si ritrovò (complice una lettura profonda o una dormita) nella cittadina di Stamford Bridge, 150 miglia dalla capitale; al camionista siriano con un carico da consegnare a Gibilterra (Gibraltar) che, errore di appena 2.500 chilometri, finì a Gibraltar Point, amena località britannica affacciata sul Mare del Nord — la casistica degli errori commessi affidandosi ciecamente al Gps è infinita.

 

E, in qualche caso, tragica: automobilisti in viaggio di notte su strade secondarie, precipitati in un dirupo o affogati in un bacino artificiale non segnalato da un navigatore dotato soltanto di vecchie mappe.

 

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In California, nel parco nazionale della Valle della Morte, i ranger hanno addirittura coniato l’espressione death by Gps per indicare gli escursionisti morti nel deserto dopo essersi persi per aver male interpretato le indicazioni del navigatore o aver esaurito le batterie.

 

La tecnologia del Gps ha cambiato il mondo: non solo guida le nostre auto ma governa il traffico marittimo e quello degli aerei, consente di recuperare i veicoli rubati, guida i trattori nei campi e i bulldozer che scavano nei cantieri, serve ai militari per spostare le truppe sul campo di battaglia e alle organizzazioni sanitarie per combattere le epidemie in Africa.

 

Davanti a progressi così rilevanti, sottolineare gli incidenti, che inevitabilmente si verificano quando viene introdotta una nuova tecnologia, rischia di essere il solito esercizio nostalgico. Sempre più spesso, però, sono gli stessi scienziati a sottolineare come, con la diffusione delle tecnologie digitali, l’uomo non stia solo rivoluzionando i meccanismi dell’apprendimento, ma perda anche capacità che consideravamo innate: da quella di memorizzare i numeri a quella di fare calcoli mentali, dalla scrittura a mano fino alla perdita del senso dell’orientamento legata alla scelta di affidarsi ciecamente al Gps. In qualche misura ciò è inevitabile e l’uomo, prima o poi, riesce a trovare un nuovo equilibrio.

 

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Gli allarmi per gli effetti delle tecnologie si susseguono (e, in genere, lasciano il tempo che trovano) da anni. Anzi da millenni, visto che già Socrate lamentava che con l’introduzione della scrittura il genere umano avrebbe visto compromessa la sua capacità di svolgere una conversazione approfondita basata su conoscenze tutte archiviate nella memoria di ognuno.

 

Sicuramente con la crescente diffusione della scrittura e poi dei libri, la necessità per i saggi di memorizzare un enorme volume di nozioni s’è ridotta, cosa che ha condizionato ma non compromesso l’evoluzione delle culture.

 

Il motore di ricerca di Google per molti è solo un altro passo in questa direzione, ma ci sono scienziati che lo vedono come un capolinea. Insieme al calcolatore, all’agenda digitale con nomi, indirizzi e numeri telefonici e al Gps, il search può portare a una sostanziale perdita della memoria di lungo termine: tutti gli studi più recenti dimostrano che gli studenti memorizzano molto meno quando sanno che quelle nozioni sono facilmente accessibili via pc o tablet o smartphone.

 

Del resto quanti di noi ricordano ancora i 50 o 100 numeri telefonici che avevano imparato a memoria vent’anni fa? Problema non necessariamente grave, visto che la memoria, dicono gli stessi studi, è cosa diversa dall’intelligenza. La memoria di lungo termine è, però, indispensabile per la crescita del pensiero critico, essenziale per lo sviluppo umano e delle civiltà. Insomma, dando per scontato che il progresso tecnologico sia inarrestabile, si tratta di capire quali sono i danni che accompagnano i vantaggi per cercare il modo di eliminarli o per imparare a conviverci. Sapendo che in casi estremi può anche essere necessario uno stop.

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È successo con la proliferazione nucleare, con le armi chimiche e batteriologiche; potrebbe ripetersi in altri campi come l’uso della genetica per predeterminare le caratteristiche dei figli, le nanotecnologie che possono diventare micidiali in mano ai terroristi o la miniaturizzazione dei droni: ce ne sono già prototipi piccoli come insetti, che presto potranno infilarsi ovunque con sensori e microtelecamere.

 

Ma, al di là delle mini-macchine da guerra, e dei problemi di privacy e sicurezza che nascono dall’uso delle nuove tecnologie (quasi tutto ciò che mettiamo in rete è indelebile, lo smartphone ci rende individuabili e intercettabili ovunque e spegnerlo può non bastare), a meritare attenzione sono soprattutto le conseguenze della perdita di capacità umane che deriva dalla diffusione di tecnologie digitali sostitutive.

 

I casi si moltiplicano e costringono le autorità a correre affannosamente ai ripari: come le compagnie aeree che stanno cambiando i programmi d’addestramento dopo gli incidenti causati da errori di piloti che, disabituati all’uso dei comandi manuali, sbagliano un atterraggio dopo che l’autopilota è andato in avaria.

 

Il Global positioning system, un sistema americano di origine militare come internet, ma ormai a disposizione di chiunque in tutto il mondo, è forse quello che sta cambiando più in profondità capacità e abitudini dell’uomo.

 

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Anche perché il Gps made in Usa sarà presto affiancato dal sistema europeo Galileo e dal cinese BeiDou. Pioniere di questo sistema, che consente di individuare la posizione esatta di un trasmettitore Gps grazie alla triangolazione tra quattro satelliti che gli inviano un segnale, è un settantenne californiano, cresciuto nel Minnesota, che studiò scienze ambientali e architettura del paesaggio.

 

Figlio di un giardiniere e di una domestica immigrati dall’Olanda, Jack Dangermond dopo l’università approdò in un laboratorio di Harvard nel quale si cercavano di combinare grafica del computer e analisi degli spazi. Dangermond capì che si poteva arrivare a creare mappe digitali e ne intuì le enormi potenzialità. Costituì la sua società pionieristica, la Esri, già nel 1969, ma per anni visse solo di consulenze: un tentativo fallito dopo l’altro, il primo software sul mercato arrivò solo nel 1982.

 

Un successo mondiale: il sistema ArcGIS è ancora oggi il cuore tecnologico della Esri. «Senza Dangermond non avremmo mai avuto Google Earth, Google Maps e Google Street View», ha detto a «Forbes» John Hanke, l’uomo che ha diretto per sei anni il progetto mappe digitali dell’azienda di Larry Page e Sergey Brin.

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Google, a dire la verità, ha anche cercato di mangiarsi il business della Esri, che, lasciando al gigante di Mountain View il mercato delle mappe digitali per il grande pubblico (quelle che consentono a chi usa Uber di seguire il percorso dell’auto che sta portando suo figlio a scuola), si è specializzata nei servizi professionali più sofisticati: per militari, polizia, servizi di emergenza e anche per le organizzazioni sanitarie.

 

IL NAVIGATORE GPS WAZE IL NAVIGATORE GPS WAZE

La capacità della Esri di inserire in una mappa digitale l’indicazione dei soldati sul terreno o i nuclei di protesta e le strade bloccate in caso di una manifestazione o, ancora, la diffusione di un virus sul territorio in caso di epidemie, non è stata raggiunta da nessuno. E, infatti, alla fine la stessa Google ha deciso di indirizzare, per certi servizi, i suoi clienti verso l’azienda di Dangermond.

 

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Entusiasta e giustamente orgoglioso della sua tecnologia usata perfino da Walgreens, gigante Usa delle farmacie, per decidere dove aprire nuovi negozi e dai ricercatori di Stanford per prevedere l’impatto del riscaldamento globale sulle farfalle del Madagascar, l’imprenditore californiano nelle sue convention parla addirittura di una nuova era di illuminismo geografico. Il prezzo è la perdita del senso dell’orientamento sul territorio: una dote basata sulla capacità di calcolare mentalmente le distanze (che è soprattutto maschile, dicono gli studi) e su quella di ricordare una serie di punti di riferimento lungo il percorso (pompa di benzina a sinistra, supermercato a destra), che è soprattutto femminile.

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Tutto spazzato via da anni di occhi fissi sullo schermo del Gps, con conseguente atrofia dell’ippocampo, la parte del cervello nella quale risiede la capacità di orientare il movimento. Anche questo dimostrato scientificamente: molto grande nei tassisti di Londra capaci di tenere a mente fino a 25 mila strade, secondo i ricercatori canadesi della McGill University, l’ippocampo si riduce fino ad atrofizzarsi in chi fa un uso eccessivo del Gps. 

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