LA WATERLOO DI MILANO: CON IL LOCKDOWN DURO RISCHIA LA BANCAROTTA – LA LOMBARDIA TEME IL DISASTRO ECONOMICO CHE POTREBBE PORTARE AL COLLASSO “QUASI 60 MILA IMPRESE DI COMMERCIO AL DETTAGLIO” OLTRE “ALLE 55 MILA DELLA RISTORAZIONE, DELL'ALLOGGIO E DEI SERVIZI”, IN UNA REGIONE CHE VALE, DA SOLA, PIÙ DEL 20% DEL PIL – LA RABBIA DEGLI ESERCENTI: “SE STIAMO CHIUSI SERVONO PIÙ AIUTI O NON SOPRAVVIVIAMO”

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Alberto Mattioli per “la Stampa”

 

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«Questo governo pensa che sia più importante quello che abbiamo sulla testa di quello che ci mettiamo dentro».

 

La battuta migliore di una giornata surreale la fa una sciura molto professoressa democratica in coda alla cassa della Feltrinelli di corso Buenos Aires dopo aver fatto un' ampia scorta di cibo intellettuale per reggere alla clausura prossima ventura.

Più tardi arriverà la lieta novella: le librerie resteranno aperte, unica eccezione, insieme con parrucchieri, alimentari e farmacie, alla serrata generale.

 

O almeno così pare. Mentre a Roma le «interlocuzioni» si eternizzano, non si sa ancora se e quando Milano sarà chiusa insieme al resto della regione. Incertezza totale, finché anche il sindaco Beppe Sala si stufa e alle 18.32 se ne esce con un meraviglioso tweet da milanese imbruttito (e imbufalito): «Caro Governo, sono le 6 di sera, un bar milanese sta chiudendo e ancora non si sa se alle 6 di domani mattina potrà riaprire. Quando glielo facciamo sapere?».

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Poi Conte va in onda in prima serata e si viene a sapere che sì, la Lombardia è in zona rossa, ma resta ancora un giorno di tregua, oggi, prima della serrata generalizzata.

Ma a Milano nessuno si faceva illusioni. E l' atmosfera è più da rassegnazione che da rivolta, nonostante i numeri raccontino una specie di Waterloo economica.

 

Confcommercio Lombardia parla di uno scenario «da vero disastro economico» che potrebbe portare al collasso «quasi 60 mila imprese di commercio al dettaglio» oltre «alle 55 mila della ristorazione, dell' alloggio e dei servizi», in una regione che vale, da sola, più del 20% del Pil. Confcommercio mette in chiaro fin d' ora che «i ristori previsti non sono sufficienti» e che «rischiamo di bruciare i consumi del Natale, e non possiamo permettercelo».

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Negozi, bar e aeroporti Da qualsiasi parte lo si guardi, il lockdown sembra sinonimo di bancarotta. La Coldiretti regionale stima in un miliardo di euro la perdita di fatturato dei 51 mila bar, ristoranti e pizzerie della Lombardia, 18 mila solo in provincia di Milano, con disastrose conseguenze a cascata sull' intera filiera dell' agroalimentare.

 

Armando Brunini, amministratore delegato di Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate, 30 mila dipendenti, informa che il traffico è calato dell' 85%. Guglielmo Miani, presidente del MonteNapoleone District, 130 negozi del quadrilatero della moda, una delle più alte concentrazione di lusso del mondo, accusa: «La chiusura non è la soluzione. I consistenti danni economici potrebbero diventare strutturali».

 

«Meglio chiusi che aperti male», ammette però Paolo Peroli del Comitato esercenti dopo l' ennesima protesta davanti a Regione e Comune. «Ma se stiamo chiusi servono più aiuti o non sopravviviamo. Hanno detto che i ristori arriveranno il 15 novembre. Tre o quattro giorni di ritardo sono ammissibili; di più, no. Poi sicuramente non rimarremo fermi».

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I luoghi simbolo Però il vero problema non è quando si torneranno a tirare su le serrande, ma se si potrà farlo. Anche perché non lo dice quasi nessuno, ma questo secondo lockdown potrebbe risultare anche peggiore del primo. «Perché la prima volta un' azienda sana e con i bilanci in ordine come la mia ha potuto ottenere degli aiuti bancari.

 

La seconda, in questa incertezza, forse no e in ogni caso non alle stesse condizioni», spiega Pier Galli, titolare del «Galleria», storico ristorante appunto lì, in Galleria, in epoche non pandemiche salotto buono di Milano, oggi un deserto perché i turisti non ci sono più e la Scala è chiusa. Lui ha 31 dipendenti che andranno in cassa integrazione, «tuttavia è improbabile che la percepiscano integralmente. E vivere a Milano costa. Ora, io sono un imprenditore e tiro fuori la grinta per lottare. Ma prima ho avuto la chiusura alle 24, poi alle 23, poi alle 18 e adesso, pare, totale: sono più sconfortato che arrabbiato. Come ha detto la signora Merkel, che almeno è sincera: non si vede la luce alla fine del tunnel».

 

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Stesso clima in Buenos Aires, la via commerciale più lunga d' Europa, termometro infallibile della salute economica della città, ieri abbastanza affollata prima che sia troppo tardi. Il problema non è solo lo shopping interruptus, ma il Natale che incombe: «Come ci arriveremo? Con alle spalle un mese di chiusura sommato ai mesi di lockdown saremo allo stremo», dice Franco Catalano, esercente storico della via. Si lamenta perfino chi può restare aperto, come Mauro, barbiere in piazza Gramsci:

 

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«Certo, io non chiudo. Ma se la gente non esce più di casa, per chi sto aperto? Saremo come l' oasi nel deserto: indispensabile ma poco frequentata». E mentre sui social impazza la satira («Milano rossa? No, rossonera») si capisce che stavolta la paura di non farcela è vera e tanta. «Zona rossa? Sì, come il mio conto in banca», scrive un esercente. E non è una battuta acchiappalike.

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