1 - YOUSSEF E IL SOGNO DEL CALIFFATO IN SIRIA "VOLEVA DIVENTARE UN TERRORISTA"
Franco Giubilei e Karima Moual per “la Stampa”
C'è un contrasto stridente fra il panorama idilliaco di questa frazione di Castelletto di Serravalle, Fagnano, dove vive la madre del giovane terrorista ucciso dalla polizia inglese e la scia di sangue lasciata dai tre terroristi a Londra. Youssef Zaghba, nato a Fes in Marocco 22 anni fa e con doppia cittadinanza, quassù c' è venuto per brevi periodi a trovare la madre italiana, Valeria Collina, convertita all' Islam da quasi trent' anni, alloggiando nella villetta di via Fabbri 47.
La casa a Bologna di Youssef Zaghba
L'ADDIO ALLA MADRE
In un' intervista all' Espresso on line, la madre del ragazzo dice di aver sempre controllato le sue amicizie perché «non si affidasse a persone sbagliate», in Italia come in Marocco, dove studiava informatica all' Università di Fes. Le cattive compagnie e le scelte sbagliate sarebbero arrivate a Londra, in «quel quartiere che non mi ha mai trasmesso serenità», aggiunge la donna, che col figlio ha parlato l' ultima volta giovedì scorso, al telefono.
«Per lui la Siria era un luogo dove si poteva vivere secondo un Islam puro». «Mi ha chiamato al telefono giovedì scorso, nel primo pomeriggio - ha raccontato ancora la donna - e con il senno di poi mi rendo conto che quella nei suoi piani era la telefonata di addio. Pur non avendomi detto niente di particolare, lo sentivo dalla sua voce». Necessario, conclude la madre commentando la scelta di diversi imam di rifiutarsi di celebrare i funerali di suo figlio, che condivide, «dare un messaggio ai familiari delle vittime e ai non musulmani».
Nel marzo dell' anno scorso Youssef venne fermato all' aeroporto di Bologna, prima di partire per Istanbul con un biglietto di sola andata. Confidò candidamente a un poliziotto che «voleva fare il terrorista», ha detto il procuratore di Bologna Giuseppe Amato: «Poi si corresse, gli venne sequestrato il computer ma secondo il tribunale del Riesame non c' erano i presupposti per ravvisare la sussistenza di un reato, così ne ordinò la restituzione e non si poté esaminare il contenuto del pc». In quell' occasione la madre implorò la polizia di non farlo partire.
Vicino di casa di Youssef Zaghba
Il giovane venne pure segnalato alle autorità inglesi: «In un anno e mezzo è venuto dieci giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna, ma non c' erano prove che fosse un terrorista». La madre, molto preoccupata per «certi discorsi che faceva» e per il suo comportamento - sul suo telefono la polizia aveva trovato foto e documenti riconducibili all' estremismo islamico e la casa di Fagnano fu perquisita -, ha cominciato a collaborare con le forze dell' ordine. Nei confronti del ragazzo venne aperto un fascicolo per terrorismo, ma venne rilasciato quasi subito.
TERRORISTA LONDON BRIDGE RACHID REDOUANE 1
Da approfondire se, nel rilascio, siano stati sottovalutati gli elementi a disposizione della polizia o se invece non ci fossero le condizioni per il fermo.
IL PADRE VIOLENTO
Valeria Collina era tornata in Italia da un anno e mezzo, dopo la fine del suo rapporto burrascoso con il padre di Youssef, suo marito. Un uomo che, racconta la zia della donna, Nerina, 94 anni, «la picchiava e la minacciava». Il marito le avrebbe anche sottratto beni e soldi dopo che la donna l'aveva seguito in Marocco convertendosi all' Islam. Da lui ha avuto anche un' altra figlia, di qualche anno più grande, che vive con la madre a Fagnano.
«Il marito è stato arrestato in Marocco, e anche il figlio è finito in carcere», aggiunge la zia. Una coppia mista sui generis, il padre e la madre dell' attentatore, che potrebbe aver cominciato a radicalizzarsi già in Marocco, per poi ultimare il percorso una volta giunto a Londra. Ai maltrattamenti, negli ultimi tempi si era aggiunta la volontà del marito, comunicata alla moglie, di sposare una seconda donna. Una decisione che ha spinto Valeria Collina a tornare in Italia dopo il divorzio.
2 - IL TERRORISTA ALLEVATO A CASA NOSTRA
Lorenzo Vidino per “la Stampa”
La notizia che Youssef Zaghba, uno dei tre attentatori di Londra, abbia forti legami con il nostro Paese preoccupa. Non è particolarmente eclatante che sia spesso transitato nel Bolognese, dove le sue visite pare fossero motivate dalla presenza della madre.
Anzi, il fatto che apparentemente nel marzo 2016 fosse stato posto in stato di fermo mentre tentava di imbarcarsi per la Turchia con chiara destinazione finale la Siria è prova che la nostra antiterrorismo ha funzionato: ha individuato un soggetto radicalizzato e gli ha impedito la partenza.
Difficile al momento stabilire se la giustizia avrebbe potuto fare di più e detenerlo, ma è importante che le autorità italiane lo abbiano schedato come pericoloso e abbiano condiviso l' informazione coi partner europei - lo scambio di informazioni operative in tempo reale è basilare nel confronto della minaccia terroristica attuale.
Non è il primo jihadista a transitare sul nostro territorio. Anis Amri, l' attentatore del mercatino di Berlino, aveva iniziato il suo percorso di radicalizzazione nelle carceri siciliane e dopo la strage era tornato nel nostro Paese, venendo ucciso a Sesto San Giovanni.
L'attentatore di Nizza era venuto spesso in Italia, facendo proselitismo tra i rifugiati di Ventimiglia. E altri attentatori erano approdati nella Penisola come prima tappa del loro viaggio dalla Siria ai Paesi europei che poi hanno colpito. Ma non sembra che ci sia un filo conduttore tra queste storie, non è un trend, sono storie isolate. Per quanto anche da noi operino soggetti con legami operativi con lo Stato Islamico non risulta infatti esserci una rete di supporto che fa passare da noi jihadisti in arrivo da o in partenza verso i territori del Califfato.
L' idea dell'Italia come comodo Paese di passaggio (e secondo alcuni per questo non attaccata dai terroristi) è fallace e non basata sulla conoscenza dei trend attuali del jihadismo globale. Quello che invece preoccupa del caso Zaghba è il fatto che il ventiduenne è il secondo cittadino italiano di seconda generazione (con padre nordafricano e madre italiana) ad essersi macchiato di un atto di violenza jihadista nell' arco di tre settimane.
Il 18 maggio, infatti, Ismail Tommaso Hosni, padre tunisino e madre pugliese, aveva accoltellato agenti di polizia e militari in servizio alla Stazione Centrale di Milano. Un atto le cui motivazioni non sono chiarissime, ma certe sono le simpatie jihadiste dell' Hosni. Siamo di fronte a un nuovo trend? Uno dei principali motivi per cui l' Italia è stata finora solo marginalmente toccata dall' ondata di violenza jihadista che ha insanguinato l' Europa è il fatto che non ha un numero importante di «seconde generazioni».
E' proprio questa la fascia che nei Paesi del Centro-Nord Europa si è dimostrata la più suscettibile alla radicalizzazione, i figli arrabbiati di genitori musulmani immigrati o di coppie miste che combattono con problemi di identità, che non si sentono a loro agio né con l'islam dei genitori né con la vita nelle nostre società laiche, che trovano nel jihadismo una risposta forte alle loro mille domande, insicurezze e frustrazioni.
In Italia si erano già visti alcuni casi di «seconde generazioni» radicalizzate, ma nulla in confronto a Francia, Germania o Inghilterra. I casi Zaghba e Hosni sono due campanelli d' allarme sotto due punti di vista. In primis, anche se è presto dirlo, potrebbero essere solo le prime indicazioni che il fenomeno delle seconde generazioni radicalizzate è arrivato anche da noi. E al tempo stesso pongono l' antiterrorismo italiana davanti a una problematica nuova.
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Fino ad oggi le espulsioni di soggetti radicalizzati sono state uno degli strumenti principali nel contrasto al terrorismo (49 effettuate dall' inizio dell' anno). Ma questo efficacissimo strumento, che rimuove dal suolo nazionale soggetti chiaramente radicalizzati prima che possano passare all' azione, non può essere applicato a uno Zaghba, a un Hosni o ad altri che hanno passaporto e cittadinanza italiana. Anche se Zaghba e Hosni fossero due eccezioni (ma è più probabile che no lo siano) occorre pensare a come affrontare casi di cittadini radicalizzati, la stessa problematica che ha messo in crisi l' antiterrorismo di tutta Europa.