BLOOMBERG HA GIÀ BATTUTO TRUMP. SUL CONFLITTO D'INTERESSI - L'UOMO DA 55 MILIARDI HA UN IMPERO COSTRUITO SULLE INFORMAZIONI SENSIBILI. IL DIRETTORE DI BLOOMBERG NEWS HA ANNUNCIATO CHE NON FARÀ INCHIESTE SUL SUO PADRONE, NÉ SU ALTRI DEMOCRATICI. MOLTI DIPENDENTI DELLA TESTATA LAVORERANNO PER LA CAMPAGNA - MA IL VERO TEMA CALDO È IL TERMINALE BLOOMBERG, IL GIOIELLO DELLA FINANZA: SE MIKE DIVENTA PRESIDENTE, LE NOTIZIE CHE MUOVONO IL MERCATO E VALGONO MILIARDI, A CHI ANDRANNO? - AL CONFRONTO DONALD IL PALAZZINARO È UN PEZZENTE
Sen. Bernie Sanders: "What [Michael Bloomberg] believes, and this is the arrogance of billionaires, hey I can run for President because I'm worth $55 billion." pic.twitter.com/V8MJ4KoySx
— The Hill (@thehill) November 26, 2019
Stefano Graziosi per ''la Verità''
MICHAEL BLOOMBERG DONALD TRUMP
Il miliardario Michael Bloomberg scende in campo per sfidare Donald Trump e su una cosa pare già in vantaggio: l' enorme conflitto di interessi che si porta dietro, con tutto il suo colosso editoriale che si è già schierato compatto. Un clima da «Quarto potere» inizia ad aleggiare dalle parti di Washington.
Bloomberg News ha stabilito che non farà inchieste sul suo editore. Almeno fin quando sarà in campagna elettorale. Domenica scorsa, l' ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha annunciato la propria candidatura alla nomination democratica del 2020. Peccato che il magnate sia anche il proprietario della (nota) testata che porta il suo nome.
Quella stessa testata che adesso non ha alcuna intenzione non solo di condurre inchieste sul suo conto ma neppure sui suoi rivali alle primarie del Partito democratico.
John Micklethwait, direttore di Bloomberg News, ha infatti inviato una lettera ai suoi collaboratori, in cui si legge: «Proseguiremo la nostra consuetudine di non condurre inchieste su Mike [Bloomberg] (sulla sua famiglia e sulla sua fondazione) ed estenderemo la stessa politica ai suoi concorrenti nelle primarie del Partito democratico. Non possiamo trattare i concorrenti democratici di Mike in modo differente da come trattiamo lui».
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Micklethwait sostiene poi (bontà sua) che sarà dato conto di eventuali inchieste condotte da altre testate. Ma non è tutto. Perché, prosegue la missiva, «continueremo a fare inchieste sull' amministrazione Trump». Infine viene reso noto che alcuni giornalisti della testata entreranno a far parte del team elettorale dell' ex sindaco newyorchese.
Che aleggiassero problemi di questo tipo su Bloomberg News non è del resto esattamente una novità. Come recentemente ricordato da Politico, Kathy Kiely - direttrice della sezione politica - si dimise all' inizio del 2016, esprimendo il timore che la testata non si occupasse adeguatamente dell' eventuale candidatura presidenziale del suo proprietario (che all' epoca stava ipotizzando una discesa in campo da indipendente). «La linea di fondo», affermò la Kiely, «è che non puoi coprire il circo, se non puoi scrivere di uno dei più grandi elefanti nella stanza».
micheal bloomberg donald trump
Insomma, il conflitto di interessi è palese. Senza poi trascurare la disparità di trattamento, visto che - come detto - Bloomberg News cesserà le inchieste su tutti gli attuali candidati democratici, proseguendo invece quelle su Trump. Il punto è tuttavia capire se (e come) l' ex sindaco della Grande Mela verrà stigmatizzato per questa spinosa faccenda. Nonostante infatti i media statunitensi abbiano riportato il controverso contenuto della lettera di Micklethwait, in pochi sembrano ancora esprimere un chiaro giudizio negativo su questa vicenda.
Un elemento ben strano. Soprattutto alla luce del fatto che, nei primi mesi del 2017, l' attuale inquilino della Casa Bianca fu ripetutamente attaccato per aver ceduto la guida della Trump organization principalmente ai figli Eric e Donald Jr, anziché a un blind trust. E questo nonostante non ci fosse stata violazione della legge: per quanto la scelta di Trump potesse risultare oggettivamente inopportuna, non va infatti trascurato che le norme sul conflitto di interessi negli Stati Uniti non comprendano le figure del presidente e del vicepresidente.
Adesso ci si attenderebbe un' analisi critica altrettanto dettagliata per quanto riguarda Bloomberg. Anche perché qui è in gioco un settore particolarmente delicato: quello mediatico. D' altronde, figure come Silvio Berlusconi in Italia e Andrej Babi in Repubblica Ceca sono sovente finite nell' occhio del ciclone, con l' accusa di indebita commistione tra politica e informazione. E Bloomberg?
Bloomberg rischia di riesumare un personaggio abbastanza inquietante della storia americana: William R. Hearst, magnate dell' editoria che utilizzò assai spesso il proprio potentissimo impero mediatico a fini smaccatamente politici. Divenuto deputato alla Camera dei rappresentanti per il Partito democratico, arrivò addirittura a sfiorarne la nomination del 1904. Questo non gli impedì comunque di schierare il suo impero contro il democratico, Al Smith, nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 1928, visto che proprio Smith gli aveva negato poco prima una candidatura al Senato.
Non è un caso che a Hearst si sia ispirato Orson Welles nel 1941 per il suo Quarto potere. Che ci siano d' altronde curiose analogie tra Bloomberg e il magnate di San Francisco è testimoniato anche da una certa disinvoltura dal punto di vista politico. Se Hearst - un tempo democratico - non esitò a spalleggiare il repubblicano Herbert Hoover nel 1928, Bloomberg ha cambiato spesso partito nel corso degli anni (è stato repubblicano dal 2001 al 2007, indipendente dal 2007 al 2018, per poi passare all' asinello).
La questione è tanto più grave se si pensa al fatto che Bloomberg News riveste un ruolo di primo piano nel panorama mediatico statunitense e internazionale. Un discorso che, almeno sotto certi aspetti, vale anche per il Washington Post che, nel 2013, è stato acquistato dal fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Non un politico, d' accordo. Ma comunque un personaggio potente, con grandi interessi in ballo e - soprattutto - particolarmente avverso a Trump.
Alla luce di tutto ciò, si spera che il comitato direttivo del Partito democratico prenda presto una posizione chiara sulla questione Bloomberg. Resta frattanto il fatto che il sistema mediatico americano continui a riscontrare pesanti cortocircuiti. E non è detto che, alla fine, paradossalmente Trump non riesca a beneficiarne. D' altronde, il frequente scontro con i media gli procurò, nel 2016, non pochi consensi.
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