IL CERCHIO MAGICO DI PUTIN SI È ROTTO – SERGEI LAVROV, IL MINISTRO DEGLI ESTERI PIÙ LONGEVO (E SECONDO ALCUNI, IL PIÙ BRAVO) DEL MONDO, È IN ROTTA CON IL PRESIDENTE RUSSO, A VANTAGGIO DEL FALCO SHOIGU, TITOLARE DELLA DIFESA – LAVROV ERA CONTRARIO ALL’INVASIONE DELL’UCRAINA E IN QUESTE ORE, COME IL PORTAVOCE PESKOV, STA PROVANDO A CONVINCERE LO ZAR A CHIUDERE LA TRATTATIVA CON L’UCRAINA, ED EVITARE UN’ULTERIORE, INUTILE SPARGIMENTO DI SANGUE (E UNA VAGONATA DI DISPREZZO INTERNAZIONALE)
Estratto dell'articolo di Gianluca Di Feo per www.repubblica.it
Sergei Lavrov e Vladimir Putin
(...) Oggi negli sviluppi della guerra ucraina gli esperti di politica moscovita leggono un altro segnale preoccupante: il declino di Sergej Lavrov, il più longevo ministro degli Esteri russo e dell’intero pianeta. Con un’estrema semplificazione, Lavrov può essere considerato “la colomba” della corte di Putin mentre il titolare della Difesa, Sergei Shoigu, è il “falco”.
Il primo rappresenta la diplomazia e il secondo la forza, tanto che a Mosca circola una battuta: “Quelli che non vogliono ascoltare Lavrov dovranno vedersela con Shoigu”. Esattamente quello che sta accadendo adesso. Lunedì scorso dopo il proclama in cui il nuovo Zar negava l’esistenza dell’Ucraina, al suo fianco è comparso il ministro della Difesa. La porta del negoziato si è chiusa e la parola è passata alle armi.
valery gerasimov sergei shoigu
Formalmente Lavrov è ancora al suo posto e due giorni fa ha pronunciato frasi dure contro Kiev. Una carriera straordinaria - è entrato in diplomazia nel lontano 1972 e guida il ministero dal 2004 – e finora una sintonia totale con Putin. Li unisce la stessa visione della patria: Lavrov è di padre armeno ma ha scelto il cognome russo della madre e sminuisce qualsiasi legame con il genitore “straniero”.
(...) Lavrov non è mai stato intimo del nuovo Zar. Non è uno dei silovki formati nei ranghi del Kgb, né uno dei vecchi amici di San Pietroburgo. Non ne condivide nemmeno le passioni: al judo e all’hockey su ghiaccio preferisce il calcio.
antony blinken joe biden vladimir putin sergei lavrov
Ma da diciotto anni ne ha fedelmente declinato il verbo in tutte le trattative internazionali, traducendo le pretese del Cremlino nel linguaggio della diplomazia. Tanto che pure i suoi avversari riconoscono: “Lavrov è in grado di presentare la politica estera più brutta nella maniera più civilizzata”.
Il 14 febbraio, la tv statale ha trasmesso un siparietto tra i due sulla questione ucraina. Putin gli ha chiesto: “C’è una possibilità di trovare un accordo o è solo il tentativo di incastrarci in un negoziato infinito?”. Il ministro ha risposto: “Non andranno avanti ad oltranza. Suggerirei di proseguire e aumentare gli sforzi diplomatici”. “Bene”, ha replicato il presidente, permettendo al mondo di tirare un breve sospiro di sollievo.
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Era una messinscena per guadagnare tempo? Oppure la reale manifestazione di una profonda differenza di vedute?
(...) L’invasione dell’Ucraina sia lontana dal pensiero di Lavrov. Che contrariamente agli altri cortigiani di Putin, ha vissuto dieci anni a New York e conosce quanto sia pericoloso sfidare il mondo intero.
Per questo la sua momentanea scomparsa dal palco del Cremlino potrebbe non essere solo un escamotage - la prosecuzione dello schema del poliziotto buono interpretato da Lavrov e di quello cattivo impersonato da Shoigu - bensì la fine della stagione del dialogo.
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Si sussurra che la sua poltrona possa passare a Anatoly Antonov, altro ambasciatore di lungo corso ora a Washington ma in precedenza numero due sia degli Esteri che della Difesa, proprio a fianco del “falco” Shoigu: forza e diplomazia diventerebbero una cosa sola. Quello che avviene oggi in Ucraina.
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