Giovanna Vitale per www.repubblica.it
La notizia non è ancora ufficiale, ma già comincia a circolare - con un misto di sgomento e preoccupazione - nelle grandi società pubbliche, negli ambienti finanziari e ai piani alti dei colossi bancari. Il potente direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, potrebbe non essere riconfermato nel ruolo-chiave che ricopre dal 2018, quando ottenne la poltrona che già fu di Mario Draghi (con cui peraltro ha cominciato a lavorare) persino contro il volere degli azionisti dell'allora maggioranza.
giorgia meloni giancarlo giorgetti
Passato indenne attraverso tre governi, in particolare quello giallo-verde che avrebbe voluto cacciarlo dopo pochi mesi, ora dovrebbe fare le valigie. Insieme all'intera prima linea di comando del Mef. E proprio alla vigilia di una manovra di bilancio che si preannuncia come la più complessa degli ultimi anni.
D'altronde Matteo Salvini gliel'aveva giurata. Riuscendo oggi nell'impresa che mancò cinque anni orsono quando il premier era Giuseppe Conte e non Giorgia Meloni, forse più decisa di lui a far piazza pulita di tutti i grand commis che odorano anche lontanamente di centrosinistra.
GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI MEME
È questo il sospetto che aleggia, tra Palazzo Chigi e il Mise, sull'uomo che conosce fino ai più reconditi angoli di Via XX Settembre per averli battuti palmo a palmo e poi scalati sino a raggiungere la vetta, nel corso di una carriera costruita in prevalenza dentro al dicastero dell'Economia. Anche se, a ben guardare, c'è pure un altro addebito che Fratelli d'Italia imputa a Rivera: aver gestito male i dossier su Ita, Ferrovie e concessioni autostradali.
GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI
Stimato da tutti i ministri, anche di centrodestra, che si sono succeduti alla scrivania di Quintino Sella - da Giulio Tremonti a Vittorio Grilli - fino all'ultimo l'economista 52enne è stato dato per inamovibile. Una scelta di continuità necessaria con la gestione draghiana dei conti pubblici, messi a repentaglio dalla recessione alle porte e dagli strascichi di una guerra che non accenna a finire.
O almeno così gli aveva assicurato Giancarlo Giorgetti qualche giorno fa, allorché gli ha spiegato che sì, questa era la sua intenzione, ma di non essere sicuro che glielo avrebbero lasciato fare.
Ebbene, pare che alla fine del braccio di ferro il ministro leghista abbia avuto la peggio: il direttore generale del Tesoro, pupillo di Draghi, colui che insieme a Francesco Giavazzi ha trattato tutte le nomine strategiche nelle società partecipate, potrebbe presto essere avvicendato.
Come è già successo al consigliere di Stato Giuseppe Chiné, capo di Gabinetto di Daniele Franco, che in virtù dei suoi buoni rapporti con Giorgetti tutti scommettevano sarebbe rimasto e invece è stato sostituito dall'avvocato dello Stato Stefano Varone. E adesso al Mef della vecchia guardia rischia di non sopravvivere nessuno
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