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La crisi del sistema bancario americano, evidente con il crac di Silicon Valley Bank e First Republic, conferma una vecchia debolezza degli istituti di credito a stelle e strisce. Sono meno capitalizzati di quelli europei e hanno un sistema di controlli molto più lasco rispetto ai lacci previsti dalla Bce.
Sul caso di Credit Suisse un ruolo importante nel far deflagrare la crisi lo ha avuto l’Arabia Saudita, primo azionista dell’istituto elvetico (con il 9,8%), che, tramite le dichiarazioni del presidente della Saudi National bank, Ammar al-Khudairy, ha stoppato sul nascere un’ipotesi di ricapitalizzazione.
La decisione di Riad è solo in parte legata alla mala gestio di Credit Suisse, ma si inserisce all’interno di una più grande partita geopolitica, in cui i sauditi si stanno riposizionando all’interno dello scacchiere internazionale.
L’avvicinamento alla Cina, che ha permesso loro di riprendere i rapporti diplomatici con lo storico nemico iraniano, ha reso il regime di Bin Salman meno disposto a fare favori all’Occidente, e soprattutto agli americani, accusati di essersi disinteressati al medio oriente togliendo ai sauditi quel ruolo di importante interlocutore nella regione.
Bin Salman ha voluto anche mandare un messaggio all’occidente dimostrando che il peso finanziario del suo paese è ancora in grado di condizionare il destino di banche e aziende.
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