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In tempi in cui la politica internazionale è sconquassata da numerosi appuntamenti elettorali, il disordine mondiale è massimo sotto il cielo, e la linea dritta, che normalmente unirebbe i puntini per capire la realtà, diventa un labirinto.
Il caos regna sovrano a Bruxelles, dove Ursula von der Leyen, designata spitzenkandidaten dal Ppe, dovrebbe veleggiare verso la riconferma da presidente della Commissione Ue, eppure sente venir meno molte certezze.
Non solo perché un quarto dei delegati del Partito popolare non ha votato per lei, o si è astenuto, ma perché sul suo mandato bis si giocano molte partite incrociate.
Finita ai giardinetti la sua tutor Angela Merkel, l’ex ministra della Difesa tedesca negli ultimi mesi si è avvinghiata a Giorgia Meloni accompagnandola anche a fare la spesa. In otto circostanze, in un anno, le due leader hanno viaggiato insieme. L’ultima missione, ieri, al Cairo, per baciare la pantofola di quel tenero democratico di Al Sisi.
MANFRED WEBER - URSULA VON DER LEYEN - ROBERTA METSOLA - CONGRESSO DEL PPE
Ursula, sotto sotto, giorno dopo giorno, è sempre più convinta di aver bisogno dei voti del gruppo dei Conservatori, guidato da Giorgia Meloni, per essere rieletta, come cinque anni fa le furono necessari i 15 voti del gruppo del Movimento 5stelle, epoca Conte-Di Maio.
I sondaggi, pur certificando l’esistenza di una maggioranza per il blocco Ppe-S&D-Renew, rinfocolano questa convinzione, visto che le destre in Europa sono in larga ascesa, mentre è previsto un calo dei popolari e un ridimensionamento sia dei liberali di Macron che dei socialisti di Scholz.
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Il gioco su più tavoli della Von der Leyen risponde all’esigenza di fronteggiare le trappole che si parano sul suo cammino verso il mandato bis. La 65enne è consapevole che:
1. Un pezzo del Partito popolare è contrario a darle ancora fiducia, visti i suoi inciuci e ammiccamenti ai Conservatori di Meloni-Zemmour-Abascal (con Orban in arrivo dopo il voto).
2. A tramare contro di lei c’è l’eterno rivale, Manfred Weber, a cui nel 2019 sfilò la poltrona più ambita, su impulso di Angela Merkel ed Emmanuel Macron.
EMMANUEL MACRON - DONALD TUSK - OLAF SCHOLZ
3. Le fibrillazioni all’interno del governo tedesco, scricchiolante negli ultimi mesi, rischiano di complicare i suoi piani (la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, sogna di prendere il posto di Josep Borrell, come Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue: un incarico inconcepibile per un’altra tedesca finché Ursula è al comando della Commissione).
A questi timori si aggiungono le insidie che potrebbero arrivare da Parigi e Berlino contro di lei. Nel Ppe l'assalto contro la presidente uscente dell'esecutivo sta arrivando soprattutto dai liberali di Renew di Macron che ha sguinzagliato il suo “contractor” in Italia, Matteo Renzi, che da giorni cannoneggia Von der Leyen con dichiarazioni al vetriolo, tumulandola come “unfit”.
Il viaggio in Egitto, paese con cui l’Unione europea si è impegnata in un partenariato strategico da 7,4 miliardi di euro, ha creato molti malumori in Francia e Germania: tra i liberali macroniani e i socialdemocratici crucchi sono molti quelli che pensano che il duplex Meloni-Ursula si stia allargando un po' troppo, dalle caciare a Kiev al polverone del fantomatico Piano Mattei. Di qui, il nuovo "Triangolo di Weimar" di Macron e Scholz: fuori la parolaia Meloni, dentro Tusk.
GIORGIA MELONI E URSULA VON DER LEYEN A FORLI
L’idea di sostenere economicamente e legittimare politicamente il “faraone” egiziano, anche in vista di una futura risoluzione della crisi a Gaza, infastidisce i franco-tedeschi, a maggior ragione se fatto a peso d’oro con i loro soldi.
Un brivido di timore corre lungo la schiena di Ursula anche per le mosse infide che la stessa Meloni potrebbe riservarle al momento della verità, cioè dopo il voto del 9 giugno.
Se montasse lo scetticismo intorno alla sua riconferma, la Ducetta der Colle Oppio potrebbe proporre un piano B: Roberta Metsola, presidente dell’Europarlamento, il cui nome toglierebbe molte castagne dal fuoco.
A beneficiarne sarebbe innanzitutto il governo italiano, che si ritroverebbe una leader amica (è la cocca di Tajani), che parla la nostra lingua e che, da maltese, è vicina geograficamente ai problemi de’ noantri.
Ci guadagnerebbe anche il Ppe, che con Metsola terrebbe la poltrona, affidandola comunque a una dei suoi, liberandosi dell’ormai ingombrante e inaffidabile Ursula, che tra un Green Deal a sinistra e la politica migratoria a destra, ha perso la bussola.
I verdi tedeschi avrebbero a quel punto la strada spianata per spedire la Baerbock al posto di Borrell alla guida della diplomazia Ue, e i socialisti reclamerebbero per loro la Presidenza del Consiglio europeo.
Su questo punto, un motivo di interesse ce l’ha anche la stessa Giorgia Meloni: una maltese alla guida della Commissione renderebbe molto difficile l’arrivo di Mario Draghi (scomodissimo per la premier) al posto di Charles Michel. Sembra irrealistico che i paesi del Nord Europa concedano a quelli mediterranei due delle poltrone chiave dell’Unione.
EMMANUEL MACRON E MARIO DRAGHI
Senza contare che sulla strada di “Mariopio” ci sono altri ostacoli, già rilevati da Mujtaba Rahman, dell’Eurasia Group, nell’articolo con cui, su “Politico”, lanciava l’ipotesi dell’ex Presidente della Bce a capo del Consiglio europeo: il primo è la sua “non affiliazione” con i gruppi dell’Europarlamento.
Non appartenendo a nessuna formazione politica, Draghi scompiglierebbe la spartizione di potere: chi se lo intesta come suo? I socialisti, ceduta la poltrona di Alto rappresentate, rimarrebbero a bocca asciutta, come del resto i liberali.
Il secondo problema per Draghi è la sua riconosciuta autorevolezza internazionale: vale la pena all'ex governatore della Bce di mettersi alla guida di un pollaio facinoroso di 27 stati, attraversati da sovranismo e filo-putinismo e assediati da due guerre?
Il toyboy dell’Eliseo, infatti, dopo la provocazione-allarme di Papa Francesco sull’Ucraina che “dovrebbe sventolare bandiera bianca” perché è destinata a soccombere se entro un mese non riceverà armi e munizioni da Usa e UE, ha indossato l’elmetto e ha evocato l’invio al fronte di truppe francesi. Un azzardo strategico che rappresenta un messaggio rivolto a quattro diversi uditori:
1.Parlava ai francesi, per marcare una distanza dalla filo-putiniana Marine Le Pen in vista delle elezioni europee del 9 giugno.
2.Parlava agli europei, verso i quali si è proposto come unico leader di polso nella faida a distanza con Putin (la Francia, nell’Ue, è l’unica potenza nucleare e l’unico paese europeo nel consiglio di sicurezza dell’Onu).
3.Parlava agli ucraini, dai quali si aspetta ascolto. Della serie: visto che adesso mi sto schierando senza esitazioni con voi, a differenza dell’ondivago Erdogan, quando domani ci sarà da trattare, sarò io l’interlocutore giusto da ascoltare e a cui affidare i negoziati, come di fatto ha già riconosciuto Putin (che ha detto: “Siamo pronti a un colloquio di pace e vorrei che la Francia svolgesse un ruolo attivo”). Se l’Eliseo chiedesse a Kiev di rinunciare a territori occupati dalla Russia per arrivare alla pace, Macron si aspetta di non essere bollato come “utile idiota” di Mosca.
4.Parlava agli americani. Se Trump a novembre tornasse alla Casa Bianca, togliendo all’Europa l’ombrello militare statunitense, Macron, che già nel 2019 dichiarò la “morte cerebrale” della Nato, si farà trovare pronto per mettere la potenza nucleare francese al servizio del Continente.
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L’ambizione di Macron è stata subito rintuzzata dal ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, che in un’intervista a “Repubblica” ha stigmatizzato il vertice del “Triangolo di Weimar” a Berlino tra il francese, il tedesco Olaf Scholz e il polacco Donald Tusk: “Non riesco davvero a capire queste fughe in avanti. L’Occidente dovrebbe evitare dichiarazioni a effetto, come quella di mandare la Nato in Ucraina, cercando di fare più bella figura. O evitare di dividersi in incontri a due o tre quando in Europa siamo in 27. Dovrebbe evitare dichiarazioni come quella fatta da Macron”.
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Qualcuno avvisi il nostro ministro della Difesa che a fornire armi e munizioni all'Ucraina sono Francia e Germania, che la Polonia stanzia il 4% per la difesa e accoglie i rifugiati, mentre la Melona, tra un bacetto e uno sguardo svenuto, dà solo un "conforto vocale" al povero Zelensky. L’Italia è così a corto di soldi e munizioni, al punto da riprendersi dalla Slovacchia alcune batterie antiaeree Samp/T, e non può contribuire più di così.
giorgia meloni volodymyr zelensky kiev 24 febbraio 2024
Non essendo ancora Papa, l'esclusione della Thatcher della Garbatella dal vertice berlinese era per farle capire che sull’Ucraina contano i fatti e non le chiacchiere. Ma a Palazzo Chigi, sognano la siringa piena e la moglie drogata: da un lato non vogliono che Macron prenda lo scettro di leader dell’Ue, ruolo che sogna per sé Giorgia Meloni. Dall’altro, vogliono rassicurare l’elettorato italiano (disinnescando eventuali speculazioni salviniane), contrario a qualsiasi impegno militare diretto.
giorgia meloni volodymyr zelensky giovanbattista fazzolari a kiev
EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK
DRAGHI - ORBAN - MACRON - MITSOTAKIS - VON DER LEYEN
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MANFRED WEBER - URSULA VON DER LEYEN - ROBERTA METSOLA - CONGRESSO DEL PPE manfred weber congresso forza italia mario draghi abbraccia emmanuel macron bergoglio papa francesco ROBERTA METSOLA - GIORGIA MELONI
bacio tra gordan grlic radman e annalena baerbock
EMMANUEL MACRON - OLAF SCHOLZ - DONALD TUSK