VIDEO - LE PAROLE DI FIAMMETTA BORSELLINO DA FAZIO: ‘LE GRAVISSIME MANCANZE DEGLI INVESTIGATORI NELLE PRIME ORE DOPO L’ATTENTATO A MIO PADRE’
L'attacco di Fiammetta Borsellino ai magistrati
1. BORSELLINO, LO SFOGO DELLA FIGLIA: «I SUOI COLLEGHI NON CI FREQUENTANO»
Felice Cavallaro per il ‘Corriere della Sera’
Stavolta il suo 19 luglio non lo passa a Pantelleria, lontana dai riflettori, per ricordare il padre con una messa solitaria nella chiesetta di contrada Khamma. Perché Fiammetta Borsellino, dopo due clamorosi passaggi tv e Internet con Fabio Fazio e Sandro Ruotolo, si prepara oggi a una audizione in Commissione antimafia, a Palermo. Per tuonare contro «questi 25 anni di schifezze e menzogne».
Cosa dirà alla commissione presieduta da Rosi Bindi?
«Più che dire consegnerò inconfutabili atti processuali dai quali si evincono le manovre per occultare la verità sulla trama di via D’Amelio», spiega la più piccola dei tre figli del giudice Borsellino, 44 anni.
Si riferisce ai quattro processi di Caltanissetta?
«Questo abbiamo avuto: un balordo della Guadagna come pentito fasullo e una Procura massonica guidata all’epoca da Gianni Tinebra che è morto, ma dove c’erano Annamaria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo, altri...».
Sottovalutazione generale?
«Chiamarla così è un complimento. Mio padre fu lasciato solo in vita e dopo. Dovrebbe essere l’intero Paese a sentire il bisogno di una restituzione della verità. Ma sembra un Paese che preferisce nascondere verità inconfessabili».
Di Matteo, il pm della «trattativa», era giovane allora.
«So che dal 1994 c’è stato pure lui, insieme a quell’efficientissimo team di magistrati. Io non so se era alle prime armi. E comunque mio padre non si meritava giudici alle prime armi, che sia chiaro».
Che cosa rimprovera?
«Ai magistrati in servizio al momento della strage di Capaci di non avere mai sentito mio padre, nonostante avesse detto di volere parlare con loro».
E poi?
«Dopo via D’Amelio, riconsegnata dal questore La Barbera la borsa di mio padre pur senza l’agenda rossa, non hanno nemmeno disposto l’esame del Dna. Non furono adottate le più elementari procedure sulla scena del crimine. Il dovere di chi investigava era di non alterare i luoghi del delitto. Ma su via D’Amelio passò la mandria dei bufali».
Che idea si è fatta della trama sfociata nella strage?
«A mio padre stavano a cuore i legami tra mafia, appalti e potere economico. Questa delega gli fu negata dal suo capo, Piero Giammanco, che decise di assegnargliela con una strana telefonata alle 7 del mattino di quel 19 luglio. Ma pm e investigatori non hanno mai assunto come testimone Giammanco, colui che ha omesso di informare mio padre sull’arrivo del tritolo a Palermo...».
Giammanco o altri si sono fatti vivi con voi?
«Nessuno si fa vivo con noi. Non ci frequenta più nessuno. Né un magistrato. Né un poliziotto. Si sono dileguati tutti. Le persone oggi a noi vicine le abbiamo incontrate dopo il ’92. Nessuno di quelli che si professavano amici ha ritenuto di darci spiegazioni anche dal punto di vista morale».
Compresi i magistrati?
«Nessuno. E con la morte di mia madre, dopo che hanno finito di controllarci, questo deserto è più evidente».
Ha suscitato grande emozione il suo intervento la sera del 23 maggio durante la diretta di Fabio Fazio.
PAOLO BORSELLINO - LA STRAGE DI VIA D AMELIO
«Dopo la mia esternazione non c’è stato un cane che mi abbia stretto la mano. Fatta eccezione per alcuni studenti napoletani e Antonio Vullo, l’agente sopravvissuto in via D’Amelio. Grande la sensibilità di Fazio. Ma nelle due ore successive mi sono seduta e ho ascoltato. Non sono Grasso che arriva, fa l’intervento e va. C’erano giornalisti, uomini delle istituzioni, intellettuali palermitani. Da nessuno una parola di conforto».
2. BORSELLINO:MATTARELLA,TROPPI ERRORI IN INDAGINI MORTE
(ANSA) - "La tragica morte di Paolo Borsellino, insieme a coloro che lo scortavano con affetto, deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità sulla strage di via D'Amelio, e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato". Così il presidente Sergio Mattarella alla cerimonia di commemorazione di Paolo Borsellino al Csm.
giovanni falcone paolo borsellino
3. BORSELLINO 25 ANNI DOPO LE RISPOSTE MANCANTI ALLA STRAGE DI VIA D' AMELIO
Francesco La Licata per “la Stampa”
Quando avvenne la strage di via D' Amelio, a Palermo tutti sapevano che Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso. Lo sapevamo noi giornalisti che frequentavamo il «Palazzaccio», lo sapevano i palermitani che ne parlavano liberamente nei bar e nei salotti (più o meno «buoni»). Lo sapeva anche Paolo Borsellino che ne parlò apertamente, ossessionato dal timore di non riuscire «a fare in tempo». «Ho fretta», si affannava a comunicare a quanti entravano in contatto con lui: «...devo fare in fretta».
Ma perché quella fretta? Non si capì molto, anche perché Borsellino non fu di molte parole. Qualcosa di molto significativo, però, se lo lasciò sfuggire. «Io - disse - sono teste e al più presto dovrò andare a testimoniare presso l' autorità giudiziaria competente». Evidentemente aveva capito qualcosa dell' immensa tela di ragno che aveva avvolto Giovanni Falcone e continuava ad avanzare, nel tentativo di bloccare il lavoro investigativo, ma anche il «risultato politico» prodotto dalla presenza del giudice assassinato nell' ufficio degli Affari penali del ministero di grazia e giustizia.
Aspettava di essere chiamato dal procuratore di Caltanissetta, titolare delle indagini sulla strage di Capaci. Ma Giovanni Tinebra, capo dei pm del capoluogo nisseno, non lo chiamò mai. Trascorsero quei tragici 57 giorni, tra Capaci e via D' Amelio, senza che Paolo Borsellino riuscisse a «trasferire» all' autorità giudiziaria le sue conoscenze sull' assassinio di Giovanni Falcone. Eppure Borsellino aveva fatto intendere di «aver compreso».
Certo non aveva in tasca nomi e cognomi delle «menti» criminali coinvolte, ma forse aveva intuito il senso di tutta «l' operazione stragista» ordita da qualcuno un po' più raffinato di Totò Riina, ma affidata ai macellai di Cosa nostra. Aveva spiegato, per esempio, Borsellino, che sarebbe stato un errore inquadrare la strage di Capaci dentro la classica cornice della lotta tra buoni e cattivi, della coppola mafiosa che si vendica del magistrato-persecutore. Paolo Borsellino aveva chiaro che la strage di Capaci era di natura preventiva e che Cosa nostra e gli «amici con l' abito grigio» temevano soprattutto le conseguenze del meccanismo messo in moto a Roma dal suo amico Giovanni. «Temono - disse - che Falcone possa tornare a fare il magistrato». E forse non aveva tutti i torti visto che quel giudice si apprestava a ricoprire il posto di procuratore nazionale antimafia. Esattamente come, alla vigilia del 19 luglio di 25 anni fa, Paolo Borsellino salta in aria dopo essere stato pubblicamente indicato, certo in modo affrettato e incauto, come successore di Falcone in quello stesso ruolo.
PIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINO
Così è stato annientato il più grande patrimonio (umano, etico e giudiziario) che l' Italia abbia potuto vantare: prima Giovanni, subito dopo Paolo.
Proprio come ipotizzavano nei loro scherzi macabri su chi sarebbe stato ammazzato per primo. Due grandi italiani, tanto da essere stati considerati una vera e propria «anomalia», nella palude in cui furono costretti a dibattersi.
L' eredità di Giovanni Falcone è sotto gli occhi di tutti. Paolo ha lasciato anche un' eredità più diretta: Lucia, Manfredi e Fiammetta, i tre figli che hanno mantenuto e continuano a mantenere comportamenti esemplari, soprattutto quando hanno dovuto contenere lo sdegno di fronte alle incontestabili «devianze istituzionali» riscontrate durante le indagini e i processi su via D' Amelio.
MATTARELLA MANFREDI BORSELLINO
Parlano poco, i ragazzi di Paolo Borsellino. Ma quando lo fanno sanno scegliere toni, argomenti e parole. Così, dopo 25 anni di silenzio, ha voluto parlare anche Fiammetta. Con voce ferma ma senza isterismi, con logica ferrea, ha messo uno dopo l' altro i numerosi «buchi neri» che hanno provocato persino l' annullamento di un processo già passato per la Cassazione, chiedendo semplicemente «come possa essere accaduto». Qualcuno dovrà rispondere.
AGNESE BORSELLINO alemanno posta una foto con borsellino nel 1990 AGNESE BORSELLINO
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