Carlo Tecce per https://espresso.repubblica.it/
Oggi s’è chiusa l’epoca di Giuseppe Bono a Fincantieri dopo cinque mandati di amministratore delegato per un totale di vent’anni. Fincantieri è una multinazionale di proprietà dello Stato che fabbrica navi civili e militari. Il 16 maggio si insedia il nuovo consiglio: presidente il generale Claudio Graziano, ad Pierroberto Folgiero.
Bono, com’è dopo vent’anni?
«Presto il telefono non squillerà più. Ne sono consapevole».
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Avrà modo di scrivere le sue memorie.
«Non ne ho voglia, tra un po’. A 78 anni è il momento della riflessione».
Ha sempre avuto una concezione molto soggettiva del tempo.
«Sarà perché guardare indietro lo trovo un esercizio superfluo. Non ci giriamo intorno».
Ok. Non se l’aspettava.
«Mi aspetto sempre tutto e il contrario tutto, però alla fine accade quello che non mi aspetto».
Com’è andata stavolta?
«Mi hanno chiamato stamattina e mi hanno comunicato che il governo preferisce la "discontinuità”. Non ci sono cose che non vanno o cose che vanno raddrizzate, la mia carriera era il problema. Non la posso cedere ad altri, purtroppo. Anzi ne vado fiero».
Mi permetta. Bisogna svecchiare.
«Ecco finalmente l’Italia è dei giovani. Io sarò vecchio, lo confesso, ma sono in buona compagnia».
Perché Bono avrebbe confermato Bono.
«Forse non l’avrei fatto neanche io. Ho lavorato con dieci governi diversi. Se mi fossi consegnato a uno di loro, se avessi parteggiato per uno di loro, sarei in pensione da un pezzo. Mi sento e sono un indipendente. Non appartengo a nessuno. Questa è una scelta anagrafica, non di politica industriale. La rispetto, però lo spiego».
La spieghi anche meglio.
«Quando sono arrivato l’azienda era un disastro, era in vendita. Il governo non sapeva che farsene. Oggi ha un ottimo bilancio e ordini per 36 miliardi di euro. Io lascio questa dote e i miei migliori auguri».
Cosa si rimprovera.
«Nulla. Gli errori umani non li metto in conto».
Nell’ultimo periodo ha fronteggiato pure le critiche per la vendita delle fregate Fremm al regime egiziano del generale Al Sisi.
«Io pensavo di dover “fronteggiare” complimenti. Con quella operazione, che ci ha portato più ricavi, Fincantieri ha riaperto un canale diretto con un Paese funzionale alle esigenze geopolitiche dell’Italia. C’era bisogno di uno sbocco dopo che siamo diventati ininfluenti in Libia. Oggi abbiamo urgente bisogno di gas e anche grazie a noi possiamo comprarlo dagli egiziani».
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L’Egitto nasconde la verità sull’uccisione di Giulio Regeni. Questo non è accettabile.
«La politica ha messo le due vicende sulla stessa bilancia. Un errore gigantesco. Ogni Stato persegue i suoi interessi. Ho chiuso l’accordo con Al Sisi con il pieno sostegno del secondo governo di Giuseppe Conte. La sera i partiti mi autorizzavano a trattare, il giorno dopo facevano proclami su Regeni. Ho sempre obbedito allo Stato, non ai partiti. E una volta ho salvato entrambi».
Quand’è successo?
«Col ponte di Genova. Siccome lì abbiamo i nostri stabilimenti mi chiesero un aiuto senza specificare di che tipo. Io risposi: vi facciamo il ponte. Le navi da crociera hanno ponti enormi, li sappiamo fare, dateci fiducia. Credo che il nuovo ponte di Genova sia tra le poche opere ultimate nei tempi previsti».
Invece il suo tempo a Fincantieri è finito.
«Io sono un pigro. Non mi piace viaggiare, eppure ho girato il mondo. Non mi piace mangiare al ristorante, eppure potrei pubblicare una guida. Adesso mi gusterò il piacere di fare quello che mi piace fare: andare in campagna in Abruzzo, accendere il cammino, fissare le fiamme che ardono come quand’ero bambino. E poi con abbondante calma approfondiamo un po’ di argomenti. Guai a confondere la cronaca con la storia. Per ora mi fermo alla cronaca».
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