Simone Canettieri per “il Messaggero”
Un parlamentare su quattro del M5S è fermo con le restituzioni da marzo 2019. Addirittura c'è una cinquantina di irriducibili che non si taglia lo stipendio - il minimo sono 2mila - dalla fine dello scorso anno. Anche le rendicontazioni - consultabili sull'apposito sito internet tirendiconto.it - vanno in ordine sparso. E restituiscono, è proprio il caso di dirlo, questa fotografia del cavallo di battaglia dei grillini: una totale deregulation. Con una quota di morosi che rischia - sulla carta - l'espulsione.
L'ultimo Restitution day è dello scorso maggio, prima delle Europee: circa di 2 milioni di euro al fondo per la povertà educativa infantile. Da quel momento - nonostante ci sia un gruzzolo di oltre 2,5 milioni di euro - gli iscritti di Rousseau non hanno ancora deciso a chi destinare l'ingente somma raccolta finora, seppur in molti facciano gli gnorri.
Tra il caos delle crisi di governo e la rivolta interna ai gruppi alcune nobili intenzioni sono bloccate. Come quella solenne presa da Luigi Di Maio lo scorso 27 luglio. Ecco cosa scrisse sui social: «In questi giorni di dolore per la tragica scomparsa del vice brigadiere Mario Cerciello Rega, il MoVimento 5 Stelle vuole raccogliere l'appello dell'Arma e dare il suo contributo di solidarietà. Come sapete noi continuiamo a tagliarci gli stipendi, per questo chiederò agli iscritti di dare le nostre restituzioni di questo mese alla famiglia del carabiniere».
Peccato però che la famiglia del carabiniere ucciso da due ragazzi americani nel centro di Roma non ne sappia nulla, stesso discorso l'Arma che tra pochi giorni, anzi, chiuderà il conto con la raccolta fondi. Al momento senza il contributo dei grillini, seppur annunciato su Facebook dal capo politico nei giorni del dolore e dell'emozione collettiva del Paese. «I soldi ci sono - spiega un esponente pentastellato di spicco a Il Messaggero - siamo in ritardo con il voto su Rousseau, questo sì». La storia dell'aiuto alla famiglia del carabiniere racconta però altro: la difficoltà della macchina grillina in questo momento a tenere in vita il caposaldo della sventolata diversità antropologica dei 5 Stelle.
Ecco perché Luigi Di Maio vuole passare alle maniere dure con i morosi. Fino ad arrivare all'estremo atto: il pignoramento ai parlamentari che non sono in regola con gli impegni presi al momento della sottoscrizione della candidatura. Attenzione: di questo fiume di denaro non fa parte la quota di 300 euro che deputati e senatori sono obbligati tutti i mesi a versare a Rousseau. Qui si parla del taglio degli stipendi, e basta.
E il responso dell'Agenzia delle Entrate va in soccorso del capo politico. Il braccio dipendente dal ministero dell'Economia ha stabilito che quelle degli oltre 300 parlamentari non sono donazioni (quindi non vanno tassati) ma «l'adempimento di un obbligo giuridico che gli eletti della XVIII legislatura sono tenuti ad assolvere proprio in virtù della qualifica soggettiva di eletti quali parlamentari».
LA STRETTA
Dunque si tratta, scrive l'Agenzia delle Entrate, «di un preciso obbligo giuridico di fonte convenzionale». Con questa cartuccia in mano, Di Maio ha dato mandato allo staff legale di passare al contrattacco. Dopo la festa di Napoli si metterà in piedi un piano a tre velocità: prima partirà una lettera bonaria per chi non è in regola, poi una citazione in tribunale e infine la richiesta di pignoramento. La regola che il capo politico ha in mente di far rispettare vale anche per i transfughi. Anzi, in un certo senso, soprattutto per loro. Ovvero per chi vorrebbe o potrebbe passare a un'altra forza politica.
Un tema che rimane sullo sfondo: dopo la senatrice Silvia Vono con Matteo Renzi, l'altro giorno è toccato a Davide Galantino salutare tutti per abbracciare Giorgia Meloni. In questi casi ci sarà un passaggio ulteriore: sarà richiesto agli ex - a suon di carte bollate - anche di continuare a versare il minimo sindacale mensile (2mila euro) fino alla fine della legislatura. Si erano presi un impegno politico.
Diverso invece l'approccio con Rousseau: anche qui sono in molti a tirarsi fuori dai 300 euro destinati alla creatura di Davide Casaleggio. Un mese fa in piena crisi di governo e con la possibilità di ritornare alle urne una gentile mail dello staff ricordò agli inadempienti che in caso di voto anticipato chi non si fosse messo in regola non sarebbe stato ricandidato. Passato lo spauracchio, è tornata l'anarchia. Che si porta dietro anche solenne promesse non ancora rispettate.