ALEXANDER DUGIN CON LA FIGLIA DARYA
Fabrizio Dragosei per www.corriere.it
Un attentato che segue di poche ore gli attacchi contro i militari russi in Crimea — che pure non sono stati ufficialmente rivendicati da nessuno. Ma per molti in Russia, come ha detto esplicitamente anche la tv nazionalista Tsargrad, c’è la mano di Kiev dietro l’attentato che ha causato, nella notte tra sabato 20 e domenica 21, la morte di Darya Dugina, figlia dell’ideologo di Putin Alexander Dugin.
Che avrebbe agito con l’ intento di far capire a tutti gli abitanti del Grande Paese che l’Operazione militare speciale è in realtà una guerra vera e propria. E che la guerra non risparmia nessuno — e non si combatte solamente «altrove». Se verrà mai confermata la matrice ucraina (ma è difficile che un atto terroristico come questo venga mai firmato), la distruzione della Toyota è innanzitutto un messaggio a Vladimir Putin che considera l’ideologo Dugin come una specie di padre spirituale. E a tutti i silovikì (quelli che provengono dalle forze armate e dai servizi di sicurezza) che circondano il leader russo.
Da ieri sera nessuno è più al sicuro o al di là della portata dei «partigiani» ucraini. Gli Stati Uniti e la Nato, che stanno rifornendo il Paese aggredito con artiglieria pesante e a lunga gittata, hanno ottenuto la rassicurazione che le nuove armi non sarebbero state usate per indirizzare i colpi verso il territorio della Russia.
Lo Stato Maggiore di Zelensky sta rispettando questa consegna, ma ha deciso di ricorrere ad altri strumenti, a cominciare dai droni (come quello che si è schiantato sul comando della flotta russa del Mar Nero) che non rischiano di innescare uno scontro diretto tra Mosca e l’Occidente.
E poi è iniziata l’attività dei partigiani ucraini dietro le linee nemiche. Bandiere e murales che compaiono ovunque, azioni di sabotaggio nelle retrovie, dal Donbass alla Bielorussia.
L’esplosione dell’auto sulla quale si trovava la figlia del filosofo Dugin (e sulla quale originariamente doveva essere pure lui) è un altro passo su questa strada?
Portare la guerra nel cuore della Russia fu la strategia che adottarono gli indipendentisti ceceni alla fine degli anni Novanta, quando innescarono una serie di attentati in varie città russe, compresa la capitale. A Grozny si muore per mano russa e ora noi facciamo vedere agli stessi russi cosa vuol dire avere il nemico in casa, era la tesi dei leader ceceni più radicali.
Ma quella strategia non ebbe successo. Anzi, servì a compattare la popolazione dietro alle autorità e a lanciare in orbita Vladimir Putin appena nominato primo ministro che divenne popolarissimo con la sua promessa di «andare ad ammazzare i terroristi fino nel cesso».
Il fallimento di quelle iniziative fu talmente clamoroso che gli oppositori del potere si dissero convinti che alcuni di quegli attentati, come quello sventato all’ultimo momento nel settembre 1999 in un palazzo di Ryazan (a sud di Mosca), fossero stati organizzati dagli stessi servizi segreti russi proprio per alimentare la «strategia della tensione». Accusa sempre sdegnosamente respinta da Putin.
L’uccisione di Daria Dugina ha già scatenato richieste di ritorsioni immediate e violentissime contro il «Reich ucraino», come viene chiamato il governo di Kiev. E Putin, o i super falchi che lo circondano, potrebbero trarne spunto per colpire anche quelle aree che fino ad ora sono rimaste fuori dalla guerra o per ricorrere a nuovi, più pesanti strumenti bellici.