“LA MANO SUL FUOCO NON LA METTO PER NESSUNO PERCHÉ NON SONO MICA MUZIO SCEVOLA” - SANTORO E IL LIBRO CONTESTATO SULL’EX PENTITO AVOLA. LE RIVELAZIONI DEL KILLER SULLA STRAGE DI BORSELLINO SONO STATE SMENTITE DALLA PROCURA DI CALTANISSETTA, MICHELE CONTRATTACCA: “I MIEI RISCONTRI LI HO FATTI, ORA TOCCA ALLA MAGISTRATURA. IN OGNI CASO IL MIO LIBRO AVREBBE COMUNQUE RIAPERTO IL DIBATTITO SULLA MAFIA”. I DETTAGLI CHE NON TORNANO E QUEL GESSO…
Tommaso Labate per corriere.it
«La mano sul fuoco non la metto per nessuno perché non sono mica Muzio Scevola. Ho fatto uno scoop, l’ho difeso. I riscontri miei li ho fatti, tocca alla magistratura fare i suoi». E se dai riscontri emergesse l’inconsistenza delle rivelazioni di Maurizio Avola - il killer che si è auto-collocato nel commando che il 19 luglio 1992 ha ucciso Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, ridefinendo i contorni della storia per com’era stata raccontata dal pentito Gaspare Spatuzza - «allora non avrei alcun problema, in ogni caso il mio libro avrebbe comunque riaperto il dibattito sulla mafia. Anzi, avrei persino materiale per scriverne il seguito».
Nelle prime righe del suo ultimo libro, Nient’altro che la verità (Marsilio), Michele Santoro ha scritto: «Di solito mi lascio guidare dall’intuito nel giudicare una persona che vedo per la prima volta. Di Maurizio Avola non so che cosa pensare».
Adesso che ci sono concrete possibilità che l’intuito l’abbia tradito – con le rivelazioni dell’ex killer di Cosa Nostra smentite dalla procura di Caltanissetta, dagli osservatori garantisti e da quelli più vicini ai magistrati, dalla figlia di Giovanni Falcone, dai figli di Paolo Borsellino e anche da Claudio Fava, figlio del giornalista Pippo, ucciso da Avola – il popolare giornalista televisivo dice che «la mafia è sempre la mafia, una cosa complicata, la mano sul fuoco non la metto per nessuno», figurarsi per un pluriomicida.
La telefonata dopo la trasmissione di Giletti
MICHELE SANTORO - NIENT'ALTRO CHE LA VERITA
Domenica sera, dopo la sua partecipazione al programma di Massimo Giletti su La7, il telefono di Santoro ha squillato. Era Avola. «Io avevo un gesso mobile sul braccio sinistro ma sono destro, io dico la verità, perché non mi credono?», ha detto il killer al giornalista. Il gesso (estraibile, dice lui) al braccio sinistro di Avola è la classica carta messa male che ha fatto crollare il castello.
Il killer aveva raccontato di essersi mosso tra Palermo e Catania più volte nei giorni precedenti all’attentato di via d’Amelio (versione affidata a Santoro), poi di essere rimasto a Palermo nei tre giorni prima dell’uccisione di Borsellino (ai magistrati di Caltanissetta); questi ultimi, però, l’hanno messo di fronte al fatto che era stato fermato dalla polizia a Catania, la mattina prima della strage, e che al controllo si trovava con un braccio ingessato.
michele santoro enrico mentana
Particolari, entrambi, omessi a Santoro. «Se l’era dimenticato», è la replica del giornalista. Possibile dimenticarsi di un dettaglio così importante alla vigilia di una strage come quella di via d’Amelio? «Ho fatto un test su me stesso per tentare di ricordare che cosa avessi fatto nei giorni prima di un momento importante della mia vita, come la puntata di Samarcanda con Libero Grassi. Ecco, non ricordo nulla», aggiunge. Com’è possibile che l’autore di rivelazioni così incredibili, affidate a un giornalista, non si curi di avvisare il giornalista che le stesse rivelazioni erano state successivamente contestate dai magistrati?
«C’era il segreto istruttorio. Non poteva farlo. L’avrebbero arrestato», è la risposta di Santoro. A questo punto la domanda è un’altra: perché la verifica sul vaglio della magistratura alle dichiarazioni di Avola, nei lunghi mesi di lavoro sul libro e con tutto il tempo che c’era prima di mandarlo in stampa, non sono state fatte da Santoro stesso? L’autore risponde: «Avevo il mio scoop e l’ho difeso, i miei riscontri li avevo già fatti. Spero di no ma magari la reazione stizzita dei magistrati di Caltanissetta è arrivata proprio perché non ho fatto questi passaggi con loro».
michele santoro allo speciale mafia di la7
Le cose che non tornano
A poco più di una settimana dall’uscita del libro, nessuno sembra disposto a credere all’autoaccusa di Avola, già in passato considerato inattendibile dai magistrati. Non tornano i tanti viaggi della vigilia tra Roma e Catania in compagnia di un sorvegliato speciale come Aldo Ercolano (con l’eventualità che un fermo qualsiasi a un posto di blocco mandasse a monte il piano), non tornano le sirene spiegate della scorta di Borsellino di cui il killer parla (erano «spente», come si legge nella sentenza Borsellino quater), come non tornano tantissime altre cose.
Torna l’esplosivo, secondo Santoro, la ricostruzione di com’è stata imbottita di T4 la Fiat 126, «cose che Avola ha raccontato per primo e che il cratere di via D’Amelio conferma». Una goccia nel mare, per ora. Sul perché ci sia stata una sollevazione contro Avola, il giornalista ha una spiegazione: «Avola la nega la presenza dei servizi segreti nella preparazione dell’attentato. Magari qualcuno stava continuando a battere questa pista e queste rivelazioni hanno scombinato qualche piano». Sarebbe il primo caso di una campagna contro qualcuno che «assolve» i servizi segreti. Di solito, anche nelle spy story inventate, succede esattamente il contrario.