Alessandro Rico per “la Verità”
Roberto D'Agostino celebrerà, il 23 maggio, i 21 anni di Dagospia, che ha fondato e che dirige.
Il sì di Matteo Salvini a Mario Draghi è una mossa astuta. Manda in tilt i giallorossi.
«Salvini è un miracolato che deve solo accettare in maniera umile tutto ciò che Draghi proporrà alla Lega».
Per quale motivo?
«Fa parte del tirocinio obbligatorio che gli serve per ottenere il semaforo verde di Bruxelles».
Un'agibilità politica?
«Esatto. Palazzo Chigi lo vedrà col tavolino a tre gambe, se non rientra nell'ovile dell'Unione europea che ha tanto schifato con il suo sovranismo al caviale (made in Russia)».
Lo vede subordinato?
«Intanto, per evitare la rissa dei veti incrociati, Draghi sceglierà i suoi ministri fuori da partiti e appartenenze. Quindi le indiscrezioni su Salvini che pretende ministri sono mere cazzate giornalistiche. Deve stare lì, buono e tranquillo come una pecorella, e ringraziare Giancarlo Giorgetti: con il sì a Draghi, Salvini riporta la Lega Nord al governo».
Se lo dice lei...
«Non avete capito una cosa».
Ci faccia capire, allora.
«Il famigerato addio di Salvini al governo, nell'agosto 2019, mica ebbe origine dall'ubriacatura di mojitos al Papeete: era vicepremier e ministro dell'Interno, Giuseppe Conte era un semplice passacarte e i 5 stelle venivano asfaltati nei sondaggi dalla Lega. Il Truce aveva tutto il potere: perché mandare tutto all'aria, sapendo bene che Sergio Mattarella era contrarissimo al voto prima dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica?».
Perché?
«Mettiamola così. A Bruxelles un sovranista filo Putin, alleato con Marine Le Pen e Alternative für Deutschland in Europa, cioè i due partiti che stanno sul gozzo a Emmanuel Macron e ad Angela Merkel, rappresentava un incubo. Magari saranno arrivati dei tipini "nerovestiti" che gli hanno detto: "O esci da Palazzo Chigi, o entri da un'altra parte un po' meno gradevole..."».
Allude ai processi?
«Secondo me, non si è dimesso: è stato costretto a dimettersi».
Quindi?
«Ora, con il sì a Draghi, fa il primo passo del tirocinio per ritornare nelle grazie di Merkel e Macron. A seguire, prima che sia troppo tardi, deve mollare Le Pen e Afd».
Il problema dell'Italia è Salvini?
«Fa parte anche lui di quella classe politica italiana che ha ricevuto in tre minuti, in diretta tv, da parte del capo dello Stato, la più clamorosa bocciatura che abbia visto nella mia vita. E io ho 73 anni».
Mattarella ha sfiduciato tutti? Destra e sinistra?
«Li ha tutti buttati nel cesso, ha tirato la catena e ha chiamato Draghi per formare "un governo di alto profilo che non debba identificarsi in alcuna forza politica". Amen».
E questo cosa comporta?
«Che possono sparare tutte le cazzate che vogliono, ma questi politici scappati di casa non vanno da nessuna parte. Perché non sarà un governo Draghi, ma il governo del presidente con il contributo di Draghi. Mentre talk e giornali sparavano "Conte o voto" e "Draghi non accetterà mai", su Dagospia l'avevo detto, come sarebbe andata a finire».
A che si riferisce?
«Non era pensabile che l'Europa lasciasse i 209 miliardi del Recovery fund in mano a gente buona a niente ma capace di tutto come Conte, Casalino, Arcuri, Azzolina, Paola De Micheli e compagnia cantante. Ovvero: l'incompetenza al potere che ha rovinato il Paese».
La vedo molto soddisfatto dell'arrivo di Draghi.
«Scusi: è come se a casa oggi dicessi a mia moglie: "Non preparo io la carbonara, arriva Carlo Cracco". Beh, sarebbe festa».
Non è esagerata, la retorica dell'uomo della provvidenza?
«Draghi non è Gesù Cristo, ma di fronte a questa marmaglia di nani e ballerine è una personalità che ha uno standing internazionale. È amico di Janet Yellen, ex capo della Fed e ora segretario al tesoro per Joe Biden. Alza il telefono e parla con Macron e Merkel... E questi qua, con la terza media, iniziano a discutere su chi può stare in maggioranza e chi deve fare il ministro? Si mettano in testa una cosa».
Che cosa?
«Se questi qui, dopo aver fallito con la loro asineria politica, fanno i bulletti sborroni, Mattarella fa un governo pure senza fiducia».
È un'iperbole.
«Tranquilli, non succederà. La maggioranza a sostegno c'è: appecoronato il Pd, il M5s umiliato, Silvio Berlusconi è quello che mandò Draghi alla Bce, Salvini serve e apparecchia. Resta fuori Giorgia Meloni: rasperà un po' di voti ma è impresentabile».
Il Parlamento resta quello uscito dalle politiche del 2018.
«Dopo aver ricevuto il cartellino rosso da Mattarella, i partiti credono di poter andare da Draghi a dettare le loro condizioni. Devono solo inginocchiarsi e dire: "Ave Mario, morituri te salutant"».
SERGIO MATTARELLA MARIO DRAGHI
La composizione del governo, allora, sarà solo tecnica?
«La cazzata più grande che può fare il duplex Mattarella-Draghi è un governo misto alla Ciampi, con dentro tecnici e politici».
Lei crede?
«Sì, perché a quel punto inizieranno i veti incrociati e le risse. Faccia un governo di tecnici. Chi ci sta, ci sta, chi non ci sta se lo prende in quel posto perché non va più da nessuna parte: un altro passo e c'è il baratro».
Tecnici per fare cosa?
«Le priorità le ha indicate Mattarella. Bisogna mandare in porto in tempi brevi il Recovery plan e occuparsi del piano vaccinale. Draghi questo farà».
Un governo di scopo?
«Un governo d'emergenza, che deve fare quattro cose e basta. Questi disgraziati non sono riusciti a chiudere nessuna partita, da Alitalia a Ilva, dalla Rete unica ad Autostrade; politici dementi che non riescono ad aprire un cantiere, a rimettere in moto l'economia, a dare un futuro ai giovani. Gli Zinga e i Di Maio non riescono ad aprire nemmeno le raccomandate».
Draghi approderà al Colle?
«Io lo metterei pure al posto di Bergoglio».
Non è Cristo, ma il suo vicario?
«È una delle poche persone serie che ha questo Paese. Infatti, mi domando come sia possibile che sia nato a Roma, che di solito esprime una classe dirigente così cafonal che confonde allegramente i Medici di Firenze con gli infermieri della Usl, che scambia il Parmigianino con il pecorino, che è convinta che Tintoretto sia il gestore di una tintoria e rifiuta sdegnata l'Ultima cena di Leonardo perché ha già mangiato».
A chi sta pensando?
«Soprattutto ai 5 stelle, alle Azzolina, ai Fraccaro, ai Buffagni, alle Castelli e "Tontinelli" vari. Certo, Marco Travaglio replicherebbe: prima avevamo i ladroni».
Non è così?
«Ma almeno i "ladroni" sapevano scrivere una legge, capire un bilancio, costruire l'Autostrada del Sole. Noi vogliamo andare avanti con Arcuri? Zingaretti? Bettini? Orlando? Franceschini? Speranza? Ma che stamo a fa', Striscia la notizia?».
Inadeguati?
«Sarà antipatico, ma io ringrazio Matteo Renzi, che ha mandato all'aria tutto, svelando questo bluff dei Conte, dei Casalino, dei Travaglio. Invece di andare a fare i pavoni dalla Gruber, preparate il Recovery plan! Gli altri Paesi l'hanno già presentato».
Senza dubbio.
«Siamo un Paese senza vergogna, senza palle, senza dignità. Vorrei dire una cosa a Salvini e Meloni».
Cosa?
«Voi dite che l'Europa fa schifo? Ma l'Italia fa ancora più schifo: metà Paese che non paga tasse e poi frigna se manca un posto in ospedale. Un Paese di magliari».
giorgia meloni ignazio la russa
La Meloni è coerente.
«È quell'opposizione che non serve né apparecchia».
Perché?
«Almeno, ai tempi del Pci, l'opposizione portava all'attenzione dell'opinione pubblica un governo ombra. Il Recovery plan non va bene? Ne scrivo uno io alternativo. Lei è stata solo capace di dire: «Vojo vota', vojo vota'». Alla fine andrà a vota' il secchio dell'immondizia».
Be', in democrazia si vota.
GIORGIA MELONI E GIANFRANCO FINI
«Ma dove va con i La Russa e le "Santadechè"? Ma che è, La famiglia Addams?».
Che hanno di male?
«Gianfranco Fini scivolò sulla buccia di banana di Elisabetta Tulliani. Ma aveva creato una destra con Franco Cardini, Filippo Rossi, Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Campi... Qual è la classe dirigente della Meloni? La destra italiana è "cerebrolesa"».
«Cerebrolesa»?
«Non ha classe dirigente, non ha quadri, non ha gente in grado di creare un partito conservatore. Gliel'ho detto alla Meloni».
Che le ha detto?
«Se si va a votare e lei e Salvini per caso vincono, durano mezza giornata. La Bce chiude i rubinetti e loro rimangono a trastullarsi con le macerie».
Anche quando arrivò Mario Monti, c'erano aspettative messianiche. E poi andò come andò.
«Monti era un professore ed è arrivato in un momento in cui i tagli servivano, avendo il Paese accumulato un debito pubblico enorme. Draghi, il contrario di Monti».
Cioè?
«A parte che conosce meglio la politica, arriva nel pieno di una pandemia globale in cui non occorre tagliare, ma rilanciare l'economia, investire e garantire un Paese agli occhi dell'establishment euroglobale».
È una fase in cui ci è consentito fare «debito buono»?
«Fosse per me, a gente come Roberto Gualtieri non avrei dato un euro da gestire. Ma qui il punto cruciale è un altro».
Quale?
«Se non riparte l'economia, s'indebolisce anche la democrazia. Ecco perché mai prima l'Europa aveva concesso risorse ai Paesi membri con tale generosità. L'Europa vuole una cosa soltanto».
Ovvero?
«Un Paese serio, un Paese normale. Senza tipini fini che si presentano in piazza con la pochette e il banchetto per truffare la gente con il gioco delle tre carte».