Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” - Estratti
silvio berlusconi - il giovane berlusconi
Potenza della televisione: a vedere tutta d’un fiato la docuserie Netflix sul giovane Berlusconi, ecco che il suo protagonista non è affatto morto, ma nel piccolo schermo ha addirittura sconfitto la morte, questa dolorosa seccatura, ed è come se fosse ancora qui ad attirare i nostri occhi sul suo sogno di eternità un tempo mediatica, ora medianica — la differenza è secondaria o quasi.
Si direbbe un aperitivo di Intelligenza Artificiale, Silvione Thanabot, figura che attraverso la tecnologia consente di far sopravvivere i defunti in dimensioni neurovisive, cognitive, culturali, commerciali o da fiction.
silvio berlusconi - il giovane berlusconi
Non suoni irrispettoso, tutt’altro: se mai a qualcuno si doveva tributare questa inedita sorte, non poteva che essere Berlusconi. Vista dal divano di casa, è impossibile immaginarsi l’Italia senza di lui. Nella vita di tutti i giorni e in un libro, sperabilmente, non è così, tutto è necessariamente più complesso, sfumato, ambiguo, contraddittorio; ma le tre puntate (regista Simone Manetti, produzione italo-tedesca) esercitano qualcosa che sul momento ha a che fare sia con l’ipnosi che con un abbaglio. Il punto è che poi, spenta la tv, si riattiva il pensiero, che è a sua volta un fardello, ma anche una consolazione.
IL GIOVANE BERLUSCONI - DOCUSERIE NETFLIX
Ciò detto, il giovane Berlusconi era senz’altro irresistibile. In Italia ogni tot anni succede che venga fuori uno così. “Inventore di cose nuove et insolite” per dirla sbruffonescamente con Machiavelli.
Si parte con Milano2, forse si trascura il nesso, difficile da rendere in tv, fra il mandato di Mamma Rosa, un certo sciamanesimo americaneggiante e i miliardi. In compenso ci si può immergere come mai prima d’ora nell’osservazione di questo giovanotto che di continuo cambia d’aspetto rivelando un istinto quasi diabolico di pensarsi in rapporto al pubblico, il nasino da bambola (Cederna), il volto levigato, lo smoking con i pollicioni che fuoriescono dalle tasche, il ricciolino di capelli sul collo della camicia, i denti prima e dopo la cura, donde quel formidabile sorrisone bianco smagliante alla base di ogni imperiale successo.
Seduttore impenitente, motivatore prodigioso, campione d’erotica affaristica, sociale e geniale, fin dagli esordi diffonde visioni, ma anche una megalomania altamente efficace che lo porta a riflettersi nei desideri altrui come dentro uno specchio. Scaltro, simpatico, capisce tutto e non lo ferma nessuno. Il Milan, la Francia, fa tenerezza un povero Fellini che nel buio si chiede provocatoriamente perché non s’interrompa con gli spot, oltre a un film, anche la messa in tv.
silvio berlusconi dell'utri - il giovane berlusconi
Fa impressione soprattutto come ne parlano i tanti suoi collaboratori, Confalonieri, Rivolta, Dell’Utri, l’avvocato Dotti, Momigliano, Fatma Ruffini, Gigi Moncalvo, giornalista embedded nei road show di Publitalia — e si capisce. Il documentario ha ritmo ed è tecnicamente molto ben lavorato, frizzantello, luminiscente e omissivo. È chiaro che non ci si poteva mettere dentro tutto; così come suona fin troppo conclamato l’avviso che “non-c’entra-la-famiglia-Berlusconi”. Ma è pur vero che senza tutti quei materiali generosamente concessi dalla Fininvest — perfino alcuni fantastici fuorionda — la serie non sarebbe venuta così bene.
Questione di scelte e di sacrosanta libertà creativa hanno comunque tenuto fuori tutto ciò che poteva anche alla lontana creare controversie. Dispiace qui fare il Pierino, ma non c’è niente sulla “conquista” della villa di Arcore, niente sulla vexata quaestio delle origini dei quattrini, niente sulla P2, niente sullo stalliere, niente sulla prima moglie, niente su Veronica (si vede appena due volte), pochissimo stranamente su Gianni Letta, Cesarone Previti non pervenuto, la parola “inchieste” (della magistratura) si ascolta alla fine del secondo episodio, poi mai più. In compenso Dell’Utri a volontà, di ottima resa e gran buonumore.
silvio berlusconi - il giovane berlusconi
Forse non era questo lo scopo, ma ne è venuta fuori un’epopea, con tanto di Alleluja di Handel e Cavalcata delle Valchirie (entrambi i brani comunque dal vero). Del resto anche una mostra abbastanza misteriosamente organizzata nel settembre 2021 in un hotel di Milano con il nome “Piano B” puntava all’“epica” fermandosi al 1994.
(...)