Federico Novella per “la Verità”
Marco Carnelos, ex ambasciatore italiano in Iraq, già inviato speciale del governo italiano in Siria e in Medio Oriente, consigliere diplomatico nei governi di Romano Prodi e Silvio Berlusconi: le sanzioni riusciranno a demolire il regime russo?
«Si auspica che la Russia collassi sotto il peso delle sanzioni, ma temo che sia più una speranza che un'analisi razionale. Il mio dilemma è un altro: chi si schianterà prima? La Russia sotto il peso delle sanzioni, o il già indebolito sistema economico internazionale sull'onda del "blowback", del contraccolpo delle sanzioni stesse?».
Armare l'Ucraina è stata la scelta giusta?
«L'eccellente e valorosa resistenza ucraina dimostra che da anni le forze di Kiev contano su armamenti e addestramento militare occidentale di alto livello, come peraltro è stato ammesso dallo stesso segretario generale della Nato Stoltenberg. Come abbia contribuito l'Italia non saprei: spero solo non si tratti di qualche fondo di magazzino».
E nel merito della scelta?
«Nessuno discute la nostra appartenenza all'alleanza atlantica, né la ferma condanna dell'ingiustificabile invasione russa. Il punto è capire come l'Italia possa muoversi in consessi internazionali perseguendo anche il proprio interesse strategico, o perlomeno cercando di non uscirne eccessivamente danneggiata. Detto questo, temo che cedere armamenti all'Ucraina prolunghi inevitabilmente il conflitto. E più si prolunga, più degenera la situazione internazionale e crescono le sofferenze della popolazione».
VLADIMIR PUTIN NAFTALI BENNETT
Sta forse dicendo che gli ucraini dovrebbero arrendersi alle truppe russe?
«Il primo ministro israeliano Naftali Bennet, contando sugli analisti della sicurezza tra i migliori al mondo, ha chiesto effettivamente al presidente Zelensky di arrendersi. E questo non per pavidità dinanzi all'arroganza del tiranno russo, ma perché gli israeliani hanno forse calcolato che questa guerra è persa in partenza. Il probabile punto di caduta è la neutralità dell'Ucraina, e non ha senso veder distruggere un Paese per poi arrivare comunque a quell'esito. Chi ha più buon senso, insomma, lo usi».
Pensa davvero a un'Ucraina destinata a diventare realmente neutrale?
«Dobbiamo rifarci, pur non condividendoli, agli obiettivi enunciati da Putin: demilitarizzazione e denazificazione, vale a dire eliminazione del battaglione Azov e delle altre formazioni paramilitari naziste o presunte tali. Le chiamo "presunte" sospendendo il giudizio. In ogni caso, non sarebbe la prima volta che ci si appoggia a gruppi di «impresentabili» per promuovere una causa ritenuta superiore».
vladimir putin volodymyr zelensky
Tornando alla neutralità di Kiev. Come si potrà sancirla, quando in Costituzione si occhieggia all'adesione alla Nato?
«Si può fare impegnandosi a cambiare la Costituzione, pur andando incontro a enormi e imprevedibili complessità. Ma non è un caso che i russi abbiano citato in questi giorni il modello austriaco: Vienna non è membro Nato ma fa parte dell'Unione europea. Credo che Mosca abbia voluto lanciare un segnale su una possibile convergenza. Peraltro, è la stessa soluzione che l'Europa avrebbe dovuto proporre a Mosca anni fa, quando il contesto era ancora salvabile».
L'Europa?
«Sì, l'Europa è stata la grande assente. Quando la situazione è precipitata, nel biennio 2013-2014, in tanti erano consapevoli che l'Ucraina era una bomba ad orologeria. Avrebbero potuto disinnescarla per tempo, con un'iniziativa politica europea. I vertici europei avrebbero dovuto piantonare il Cremlino giorno e notte per trattare con Putin. Non è successo. La caratura dei leader consiste nella capacità di prevenire i problemi, non nell'affannarsi a risolverli quando sono già scoppiati».
volodymyr zelensky e vladimir putin 1
Insomma, questa guerra si poteva evitare?
«Si doveva. È una guerra criminale che vede Putin come unico responsabile. Ma se parliamo di processi storico-politici, resto convinto che il peccato originale sia stato l'allargamento a Est dell'alleanza atlantica. Un'operazione mal concepita, nella tempistica e nel confezionamento. Un peccato che, naturalmente, non sminuisce le responsabilità
russe».
Era presente anche lei nel 2008 al vertice di Bucarest, quando si ventilò l'ingresso dell'Ucraina nella Nato?
«Sì, all'epoca accompagnavo il presidente Prodi. Ricorderò sempre il pesante clima di tensione. Nella sala conferenze erano presenti tutti i leader occidentali, da George W. Bush ad Angela Merkel. Putin era furibondo, li fece attendere per 45 minuti: non ho mai visto un capo di stato esprimersi con tanta crudezza. E sto parlando di 14 anni fa. Nel corso degli anni tanti grandi protagonisti della diplomazia Usa, da Kennan a Kissinger, hanno consigliato cautela sull'allargamento. Ma evidentemente le richieste dei Paesi dell'est Europa sono apparse non arginabili».
i militari russi sparano sui manifestanti a kherson 2
Eppure, sono stati gli stessi Paesi dell'Est a chiedere di entrare nel club atlantico.
«È verissimo. Ma nella realtà internazionale, da secoli, esistono le necessità della realpolitik. Molti la riducono a un esercizio di cinismo, quando in effetti si tratta di semplice realismo. Chi pensa che l'autodeterminazione dei popoli sia più importante della stabilità globale, vive nel Paese delle meraviglie. È dura da accettare: ma dobbiamo misurarci con il mondo com' è, non come vorremmo che fosse».
Intende dire che la geopolitica mal s' accorda con i principi etico-morali?
«Esistono nella storia i popoli sfortunati, quelli che si trovano sulle linee rosse dei grandi imperi, che per una serie di ragioni politiche e storiche non hanno mai potuto soddisfare le loro legittime rivendicazioni.
vladiimir putin dona un mazzo di fiori ad angela merkel
I curdi, un popolo orgoglioso che ho avuto l'opportunità di conoscere, da un secolo aspirano ad avere uno Stato. I tibetani desiderano l'indipendenza, ma si scontrano con gli interessi cinesi. E così gli ucraini, purtroppo, si trovano in uno snodo della storia e della geografia in cui il loro desiderio di entrare nella Nato confligge con le esigenze di sicurezza di Mosca».
Eppure, la Nato è un'alleanza difensiva.
«Vero, ma è oggettivamente difficile spiegarlo ai russi, dopo l'intervento Kosovo, e l'attacco in Libia, dove, peraltro, il grimaldello per l'intervento fu proprio l'adozione di una no-fly-zone».
La retorica sulla resistenza Ucraina, le analogie tra Putin e Hitler, il dovere di opporsi al tiranno: li ritiene paragoni storici forzati?
«I grandi miti fondativi della politica estera occidentale sono due: la conferenza di Monaco del 1938 e la crisi dei missili di cuba del 1962. La morale sottesa è che l'arrendevolezza non paga di fronte alla prepotenza... In realtà a Monaco si decise l'appeasement solo perché gli inglesi non erano ancora pronti alla guerra. Quanto alla crisi di Cuba, non fu una vittoria della forza ma del negoziato: mi riferisco all'accordo segreto tra Kruscev e Kennedy. I sovietici smantellarono i loro missili da Cuba, in cambio della rimozione di quelli americani, già installati, dalla Turchia».
Teme un'escalation fuori controllo in Ucraina?
«Si, gli eventi potrebbero precipitare anche se nessuno sembra volerlo. Non dimentichiamo le tragiche lezioni della storia. Il 28 giugno 1914 venne assassinato a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando. Nelle settimane seguenti, tutti erano convinti di poter circoscrivere il dissidio: ma si innescò un meccanismo infernale, e come dei sonnambuli tutti finirono in una guerra totale».
L'atteggiamento aggressivo della Russia spazia anche in altri continenti?
«Alcuni giorni fa mi è capitato di analizzare una mappa dettagliata della penetrazione militare russa in Africa. È un'avanzata che mette i brividi. Mentre Mosca lamenta di essere accerchiata dalla Nato, sta a sua volta accerchiando l'Europa da Sud passando dall'Africa. Le nostre vedette di guerra dovrebbero ampliare lo sguardo. Perché i russi li abbiamo vicini, a Sud, al di là del Mediterraneo».
Gli Stati Uniti riusciranno a convincere la Cina ad assumere il ruolo di mediatore?
«Ce lo auguriamo tutti, ma razionalmente lo ritengo improbabile e gli ultimi contatti Usa-Cina lo confermano. Cina, Russia e Iran da anni adottano comportamenti che promuovono un ordine alternativo alla pax americana, e per questo i leader di Pechino, dal loro punto di vista, temono che presto l'attenzione crescerà anche verso di loro».
vladimir putin joe biden ginevra
Pensa che Vladimir Putin potrà essere detronizzato, sotto la pressione delle sanzioni occidentali? C'è ancora consenso intorno al leader?
«Quanto al consenso, posso dire che la manifestazione di massa allo stadio di Mosca mi è parsa troppo ben organizzata per essere spontanea. Per il resto, cosa avvenga davvero all'interno del Cremlino non lo sa nessuno, e comunque non credo che il problema si risolva con l'eliminazione di Putin. Magari fosse così. Non so dire se le sanzioni causeranno il default della Russia, anche perché intravedo sommovimenti globali inquietanti».
A cosa si riferisce?
«Diversi segnali mi fanno temere che Mosca sia molto meno isolata di quanto viene raccontato in questi giorni. È stata sostanzialmente sanzionata solo dalle democrazie occidentali, il resto del mondo sembra riluttante o indifferente. Il presidente siriano Assad è stato in visita negli Emirati. L'Arabia Saudita si rifiuta di aumentare la produzione di petrolio per calmierarne il prezzo, e progetta di commerciare con Pechino in valuta cinese. L'India si rifiuta di sanzionare la Russia, e quadruplica l'acquisto di petrolio da Mosca. Insomma, anche alcune potenze alleate o amiche degli Usa iniziano a dare segni di insofferenza. L'intero sistema finanziario internazionale che ruota intorno al dollaro rischia dei contraccolpi. E le conseguenze di questo conflitto potrebbero essere del tutto imprevedibili, sia politicamente che economicamente».