Paolo Baroni per “la Stampa”
giuseppe conte roberto gualtieri 9
«Nulla di calendarizzato»: le notizie che rimbalzano dal quartier generale di Londra dicono non sarà oggi il giorno in cui i Mittal torneranno a Roma per vedere di nuovo Conte e sciogliere il nodo-Ilva. Prima, infatti, occorre che la politica faccia chiarezza su cosa vuol fare, si fa notare, e questo vale sia per la maggioranza nel suo insieme che, soprattutto, per i 5 Stelle. Però, dopo il faccia a faccia molto duro della scorsa settimana a palazzo Chigi, sbollita la rabbia sembra che negli ultimi giorni si sia aperta «una fase di riflessione» da parte dei Mittal che potrebbe preludere ad un avvicinamento tra le parti. Sotto traccia, infatti, si tratta.
Sul piatto c'è sempre la minaccia di recesso dal contratto di acquisto dell'ex Ilva perchè l'investimento di 4,2 miliardi previsto a suo tempo è diventato insostenibile a causa della grave crisi del mercato dell' acciaio. Ma il problema, viene riconosciuto da più parti, oggi non è tanto il ripristino delle tutele legali, quanto i 5 mila esuberi annunciati.
Arcelor potrebbe ammorbidire un poco le sue richieste, ma il governo dovrebbe accettare la riduzione della produzione a 4 milioni di tonnellate (dai 4,5 attuali) ed il mantenimento in funzione di appena due altiforni. A sua volta il gruppo franco-indiano, riparametrando meglio produzione e numero di occupati, potrebbe limitarsi a chiedere la messa in cassa integrazione di «appena» 3 mila operai, più i 1.700 già in cig da mesi.
Tremila persone a cui destinare ammortizzatori di lunga durata in modo tale da superare l'attuale fase di crisi del mercato e da consentire senza intoppi il completamento della messa a norma di tutti gli impianti. «Un eventuale mantenimento della presenza di ArcelorMittal a Taranto, nel presupposto che la cosa si dimostri fattibile, non potrebbe prescindere da una riconsiderazione della presenza stessa» fanno sapere fonti vicine al dossier. Terzo punto di una possibile intesa, il ruolo dello Stato.
Esclusa una nazionalizzazione dell' Ilva («una pericolosa illusione» l'ha definita ieri Gualtieri), l' opzione più percorribile è quella che prevede l' ingresso dello Stato attraverso Cdp con una quota del 20-30% nel capitale di ArcelorMittal Italia. Soluzione che offrirebbe a Mittal la possibilità di alleggerire quel «rischio Italia» su cui le agenzie di rating l'hanno già messa nel mirino, e di contro darebbe al governo poteri di controllo più forti visto che potrebbe nominare nel cda alcuni suoi rappresentanti.
Lo stesso Gualtieri ha ammesso che l'opzione Cdp «ovviamente esiste», spiegando la Cassa «è uno strumento che non va escluso dalla cassetta degli attrezzi di cui disponiamo» per affrontare il caso-Ilva. Nell' attesa che una soluzione maturi il gruppo procede con le operazioni che porteranno alla «progressiva ed ordinata fermata degli impianti» decisa nei giorni scorsi. Ieri si è così appreso che da alcuni giorni a Taranto è stato sospeso lo scarico delle materie prime e anche dal porto di Brindisi hanno fatto sapere che i rifornimenti dell' ex Ilva sono sospesi.
Su un binario parallelo procede anche la battaglia legale: oggi gli avvocati di Arcelor depositano in Tribunale a Milano l' atto con cui il gruppo chiede il recesso dal contratto per l' ex Ilva già notificato ai commissari. Che a loro volta annunciano un ricorso urgente, in cui sostengono che il venir meno dello scudo penale non è una condizione che consente ad Arcelor di sfilarsi, e partono al contrattacco. Anche con la benedizione di Conte .