Michele Arnese per www.startmag.it
E’ vero che con la riforma del Mes si introduce e si anticipa il backstop che serve alle banche tedesche? Risponde l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, al Foglio: “Può darsi, ma se vanno in crisi le banche tedesche poi saltano pure le nostre. Noi dobbiamo opporci a ciò che ci danneggia, non a ciò che avvantaggia gli altri. Altrimenti poi ci sarà chi si oppone al Recovery in base alla stessa logica: perché avvantaggia noi”.
L’ATTESA DELLA GERMANIA PER LA RIFORMA DEL MES E IL CASO DELLE BANCHE TEDESCHE
La Germania attende il sì dell’Italia alla riforma del Mes proprio per le questioni bancarie tedesche, ha rivelato ieri al quotidiano La Stampa un ministro M5s: “Berlino sarebbe la più interessata a incassare uno dei capitoli della riforma, il cosiddetto backstop, la rete di protezione pubblica per le banche, un paracadute essenziale allo stressato sistema creditizio tedesco”.
LE TECNICALITA’ DELLA RIFORMA DEL MES
La riforma conterrà anche la possibilità, anticipata al 2022, che il Fondo di Risoluzione (SFR) per le crisi bancarie possa chiedere al Mes un prestito-paracadute fino ad un massimo di 68 miliardi. Questo nel caso che il SFR stesso abbia esaurito i propri fondi (circa 55 miliardi entro fine 2023).
IL SI’ DI BRUNETTA ALLA RIFORMA DEL MES
“L’anticipo del meccanismo di ‘common backstop’ come rafforzamento del Fondo di Risoluzione Unico bancario dell’Eurozona, sotto forma di linea di credito Mes, e l’anticipo del ‘risk assessment’, entrambi al 2022, inseriti nella tanto attesa e discussa riforma del Trattato Mes, sono senza dubbio una ottima notizia”, ha sottolineato l’economista Renato Brunetta, deputato di Forza Italia: “Lo strumento del ‘backstop’ serve proprio ad evitare ciò che era accaduto tra il 2010 ed il 2012, quando l’incapacità europea di gestire la crisi di un (piccolo) Stato sovrano, la Grecia, ha rischiato attraverso il contagio del sistema bancario, di far deragliare la seconda più importante valuta del mondo, con conseguenze facilmente immaginabili”.
LAGARDE - MERKEL - VON DER LEYEN
LO STUDIO DI BRUNETTA
L’anticipo dello strumento – secondo l’ex ministro di Forza Italia che ha curato un dossier pro riforma Mes come responsabile del dipartimento di Forza Italia sulla Politica economica che sta facendo discutere gli azzurri, attestati invece sul no dopo l’indicazione di Silvio Berlusconi – “è oltremodo importante per un sistema bancario alle prese con quella che sarà una difficile uscita dalla crisi da pandemia, crisi che sta riempiendo nuovamente i bilanci delle banche dell’Eurozona di crediti inesigibili (NPLs), nel momento esatto in cui questi si stavano faticosamente riducendo”, secondo Brunetta: “Crediti NPL che, secondo le ultime stime della Bce, ammonterebbero alla cifra monstre di 1.500 miliardi di euro. Un quantitativo di sofferenze, latamente intese, che rappresenta una buona approssimazione della dimensione della crisi sofferta dalle imprese europee, che potrebbe presto portare a nuovi fallimenti sistemici negli istituti di credito. L’Italia, da questo punto di vista, è lo Stato dell’Eurozona, insieme a Grecia e Portogallo, ad avere la percentuale di Npl più elevata, quindi tra i paesi più esposti a shock negativi, e dunque tra quelli che potrebbero maggiormente guadagnare dall’implicita stabilità garantita dal meccanismo di ‘backstop’ anticipato”.
LO SCENARIO DI LITURRI SU MES E BANCHE TEDESCHE
L’analista Giuseppe Liturri oggi sul quotidiano La Verità ha prefigurato questo scenario: “Una crisi bancaria dovrebbe avere una magnitudo tale da richiedere, nell’ordine: bail-in, quindi sacrificio di azionisti, obbligazionisti e depositanti, fino al 8% del passivo; successivo intervento del SRF con utilizzo di tutti i suoi 55 miliardi; sostegno finale del Mes a favore del SRF con un prestito di ulteriori 68 miliardi. La probabilità che un tale Armageddon riguardi una banca francese o tedesca è molto elevata, non foss’altro per le loro dimensioni ed il loro livello di rischio di alcune voci dei loro attivi. Qualora ciò accada, quelle decine di miliardi saranno comunque spazzate via in un attimo e dovranno, come sempre, intervenire gli Stati. Altro che contributo alla stabilità finanziaria dell’Unione”.
L’ANALISI DEL QUOTIDIANO LA VERITA’
Per Liturri, “da questa riforma ci guadagna solo il Mes, perché senza accorgersene, si abroga uno strumento più utile. Per la nota legge che se una cosa non serve allora serve a qualcos’altro, questo inutile prestito paracadute sostituisce ed abroga il preesistente strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche (fino a 60 miliardi). Quello sì concretamente azionabile e forse utile per qualche banca italiana, ma “pericoloso” per il Mes in quanto lo esponeva ad un rischio diretto verso una o più banche. Da domani, il Mes sarà nella meno rischiosa situazione di essere creditore del fondo comune di tutte le banche (SRF)”.
L’AUDIZIONE DI GALLI
Sostenne un anno fa Giampaolo Galli, economista, già all’ufficio studi Banca d’Italia ed ex direttore generale di Confindustria, su posizioni peraltro tutt’altro sfavorevoli al Mes: «La riforma in itinere sposta decisamente l’asse del potere economico nell’eurozona dalla Commissione europea al Mes. Non a caso, nei suoi interventi al parlamento europeo, la nuova presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, ha sostanzialmente evitato di parlare della governance dell’eurozona. In particolare, non ha detto nulla sulla proposta della Commissione di creare un Fondo monetario europeo e un ministro delle Finanze dell’eurozona, dotato di un bilancio capace di svolgere funzioni di stabilizzazione macroeconomica. Il silenzio di Von der Leyen si spiega con la considerazione che questo insieme di questioni era già stato affrontato e risolto dall’Eurogruppo e dall’Eurosummit del giugno scorso, nel senso di dare un ruolo secondario alla Commissione. In particolare, il Mes sta diventando quello che nelle intenzioni iniziali della Commissione avrebbe dovuto essere il Fmi».
IL REPORT DELL’UFFICIO STUDI
Che il Mes, grazie alla riforma, possa diventare un pari grado della Commissione Ue nella governance economica è un’ipotesi – rimarca oggi il giornalista di lungo corso esperto di cose economiche Tino Oldani su Italia Oggi – prospettata anche dall’Ufficio studi del Senato: «La modifica più rilevante per la concessione del sostegno appare quella per cui il direttore generale del Mes dovrebbe affiancare la Commissione e la Bce nella valutazione della domanda di sostegno presentata da uno Stato membro. Sulla base di tali valutazioni, spetterebbe sempre al direttore generale la redazione di una proposta da sottoporre all’approvazione del Consiglio dei governatori e la preparazione di una proposta di assistenza finanziaria, comprese le modalità e condizioni finanziarie, e la scelta degli strumenti, che dovrà poi essere adottata dal Consiglio dei governatori», si legge e pagina 16 del report a cura del servizio studi del Senato.
CHI E’ IL CAPO DEL MES
A capo del Mes c’è Klaus Regling, tedesco, direttore generale del fondo salva Stati: “Regling è tornato sulla cresta dell’onda subito dopo la nomina di Christine Lagarde alla guida della Bce. La pandemia da Coronavirus era di là da venire, e la rimessa in pista del falco Regling aveva tutta l’aria di una rivincita tedesca per porre fine alla politica monetaria accomodante di Draghi, e di riflesso mettere in riga i paesi più indebitati, Italia in testa. Per la bisogna, infatti, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, con l’accordo di Meseberg, concordarono alcuni cambiamenti della governance economica europea. Tra questi, la riforma del Mes (pretesa da Merkel), il varo di un budget europeo e di un ministro europeo delle Finanze (chiesti da Macron)”, ha ricordato Oldani.
Se andrà in porto la riforma del Mes, Regling diventerà un pari grado della Bce: “Un interlocutore non incline ad accomodamenti con l’Italia. Il 23 marzo scorso, quando all’inizio della pandemia l’Italia si fece promotrice degli eurobond, Merkeldisse: «C’è già il Mes». E Regling aggiunse: «Italia e Spagna devono mettersi in ginocchio». Un vero kapò”, ha tagliato corto Oldani.