Pubblichiamo un estratto dal libro Trasformazioni della politica, di Alessandro Campi. Docente di Scienza politica all'università di Perugia, Campi è uno dei principali studiosi della destra europea. Il volume è uscito per Rubbettino (18 l'edizione cartacea, 9,99 digitale).
Tradizionalmente, il leader in senso politico - secondo l'etimologia del termine inglese leadership (to lead: condurre, stare avanti, capeggiare, essere al comando) - è colui che guida e indirizza il popolo e riesce a farsi seguire dai cittadini grazie alle sue competenze, al suo programma d'azione, alla sua forza visionaria e alle sue capacità retoriche. Nell'accezione consueta, il follower (seguace o adepto in senso politico) è invece colui che obbedisce al capo partito e che aderisce, emotivamente e attraverso il voto, alle sue indicazioni o formule propagandistiche.
Ma cosa accade quando il leader si "orizzontalizza" e diventa a sua volta un follower?
Cosa succede nella vita di una democrazia quando un capo politico - come sempre più spesso si registra - si limita a seguire e ad assecondare le masse e a costruire la sua agenda politica e il suo programma di governo sulla base dei sondaggi che quotidianamente registrano i cambiamenti dell'opinione pubblica? Insomma, cosa accade quando chi comanda prende ordini, in senso lato, da coloro che dovrebbero invece obbedirgli?
Un primo cambiamento riguarda l'origine sociale dei leader e la loro formazione intellettuale e professionale. Sempre più spesso ci imbattiamo in personalità che non hanno alle spalle un classico pedigree politico. Anzi, in molti casi si tratta di personalità che orgogliosamente esibiscono come un titolo il non aver mai fatto politica in precedenza o il fatto di avere conquistato competenze, successo e popolarità in altri settori di attività: dallo sport allo spettacolo, dall'economia (un imprenditore, un banchiere) al giornalismo. Ma anche i leader che si sono formati nei partiti tradizionali tendono ormai a presentarsi come espressione dell'antipolitica, o come i fautori di una "nuova politica".
GENERICO È MEGLIO Il libro di Alessandro Campi si richiama al saggio Trasformazioni della democrazia di Vilfredo Pareto del 1921 per analizzare i cambiamenti dei sistemi politici attuali.
La seconda caratteristica è il fatto che oggi il leader si presenta come trasversale e inclusivo, cerca voti a destra e a sinistra, parla a tutti in modo indistinto, non ha una fisionomia culturale immediatamente riconoscibile o definibile in modo rigido. Per fare tutto ciò ha naturalmente bisogno di utilizzare messaggi generici, slogan efficaci ma poco impegnativi, nonché di ricorrere sempre più spesso a formule retoriche e a proposte demagogiche.
Le leadership odierne sono largamente dipendenti dall'uso dei media. In alcuni casi, esse sono il frutto di un sistema dell'informazione che è ormai in grado di rendere popolare un individuo nel giro di poche settimane o mesi. Niente di più facile oggi che convertire il successo nel campo dello spettacolo in un successo politico-elettorale. Le elezioni in Ucraina dell'aprile 2019 - con l'ascesa alla presidenza di un comico che era divenuto celebre per aver recitato in televisione la parte di un cittadino qualunque che quasi per caso diventava Presidente della nazione - sono solo un esempio di un fenomeno che tende a ripetersi con sempre maggiore frequenza. Era già accaduto in Italia con Silvio Berlusconi, in senso lato un uomo di spettacolo. Si è ripetuto con la fondazione del M5S a opera del comico Beppe Grillo.
MURALES A MILANO – MATTEO RENZI E MATTEO SALVINI ACCOLTELLANO GIUSEPPE CONTE GIULIO CESARE
Ciò significa che senza apparire in televisione ogni giorno, senza una presenza martellante e ossessiva sui media, senza la capacità di saturare o invadere qualunque spazio informativo-comunicativo, si rischiano un immediato oblio e la scomparsa dalla scena.
Ma questa dipendenza quasi esistenziale dai media implica anche una dipendenza dalle logiche discorsive e dalle modalità d'espressione che sono proprie degli strumenti di comunicazione di massa. Quando si parla in televisione, è cosa nota da decenni, bisogna utilizzare concetti semplici e parole che tutti possono capire. Bisogna essere martellanti e persuasivi: il ritmo è fondamentale. Se ci si sposta sui social media, questi caratteri tendono ad accentuarsi. La semplificazione del linguaggio politico, al limite della sua banalizzazione, è oggi un'esigenza vitale per qualunque leader politico.
Si deve essere veloci, brevi, puntuti, polemici, brutali.
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CONSENSO AD OGNI COSTO A ciò si aggiunga che la ricerca del consenso - giorno per giorno, a qualunque prezzo, con qualunque mezzo - è divenuta l'ossessione dei leader contemporanei. Un tempo il consenso dei cittadini serviva per governare. Oggi è il contrario: ogni scelta di governo viene fatta in funzione del consenso mediatico-politico che essa può assicurare. Nessuno si sogna più di prendere decisioni che, sondaggi alla mano, possono risultare impopolari, o che rischiano di far perdere al leader qualche punto percentuale nell'indice di gradimento. I leader si trovano così impegnati in una campagna elettorale permanente, dove alla fine nemmeno contano le scelte che si fanno, ma ci si limita solo a promesse e annunci.
Tutti questi cambiamenti hanno come conseguenza negativa quella di rendere le leadership delle democrazie potenzialmente sempre più fragili. Un leader che tende forzatamente a presentarsi come un cittadino qualunque, sin dal modo di parlare, alla fine non viene più percepito come il portatore di una specifica competenza, o come un modello da seguire. Un leader poco autorevole è un leader poco credibile, del quale è giusto e normale diffidare.
giuseppe conte matteo salvini meme
Occorre poi segnalare la contrazione temporale delle leadership contemporanee. Un capo di partito o di governo, anche quando gode di un grande consenso popolare, tende oggi ad avere una carriera politica breve e spesso effimera. Cicli politici lunghi come quelli che, nel passato più o meno recente, hanno avuto per protagonisti Tony Blair o Angela Merkel, Felipe González o Silvio Berlusconi, Margareth Thatcher, Helmut Kohl o François Mitterrand, nelle democrazie contemporanee sono sempre più delle eccezioni. Le leadership odierne, proprio perché molto condizionate dagli umori popolari (che sono per definizione instabili, cangianti e imprevedibili), tendono a durare sempre meno. Si sale al potere e si scende dal potere con estrema velocità. Si potrebbe dire che i leader contemporanei sono le prime vittime della loro stessa retorica. A furia di invocare il cambiamento a ogni costo e il bisogno di novità, anch' essi finiscono per apparire vecchi e obsoleti nel giro di poco tempo.
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