Claudio Del Frate per www.corriere.it
La crisi dei migranti esplosa tra Spagna e Marocco si sposta sui tavoli diplomatici ma nel frattempo altre soluzioni sono state adottate per le spicce. Il premier iberico Pedro Sanchez ha annunciato questa mattina che delle circa 8.000 persone che negli ultimi giorni hanno violato il confine di Ceuta (enclave spagnola in territorio africano) 4.800 sono già state rimandate in Marocco. E il numero dei respingimenti è destinato ad aumentare con il passare delle ore.
Ma quanto sta accadendo su quel confine «caldo» e apparentemente lontano ha fatto scattare un interrogativo che ci riguarda da vicino: perché il governo di Madrid ha respinto in poche ore un numero così alto di migranti e l’Italia non fa altrettanto di fronte agli sbarchi - spesso ben più esigui - di Lampedusa? La risposta è nei trattati che la Spagna ha sottoscritto con il Marocco. Oltre all’ovvia diversità tra un confine di terra e uno di mare.
L’accordo Spagna-Marocco del ‘92
Nel 1992 l’allora premier spagnolo Felipe Gonzales (socialista) sottoscrive un patto con il suo omologo marocchino Driss Basri: l’accordo prevede che i migranti (di qualunque nazionalità) entrati in Spagna provenienti dal Marocco possano essere rispediti indietro entro un tempo massimo di dieci giorni.
Nei primi dieci anni questo meccanismo viene messo in pratica in appena un centinaio di casi o poco più anche perché il numero degli arrivi resta quasi sempre contenuto. Ma nel 2005 tocca a un altro premier di sinistra (Luis Zapatero) affrontare la prima seria crisi migratoria, quando Ceuta e la vicina enclave di Melilla vengono invase in poche ore da migliaia di africani in fuga.
In quell’occasione l’accordo viene rispolverato e scattano migliaia di espulsioni «en caliente», a caldo e senza troppe procedure. Altrettanto faranno i successori di Zapatero, Rajoy e ora Sanchez.
Una sentenza in aiuto a Sanchez
I respingimenti di massa scattano anche perché spesso gli assalti alla linea di confine (che nel frattempo è stato protetto da un doppio reticolato alto fino a 6 metri) hanno carattere molto violento. Alcune organizzazioni umanitarie hanno contestato che le sbrigative procedure adottate da Madrid e l’impiego della Guardia Civil violerebbero i diritti umani.
SPAGNA - MIGRANTI NELL ENCLAVE DI CEUTA
Ma in supporto alla linea dura di Pedro Sanchez è arrivata nel novembre scorso una sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto legittime proprio le espulsioni «a caldo». «Occorre ripristinare uno stato di legalità violato dal tentativo di stranieri di violare quella specifica frontiera» hanno scritto i giudici, citando anche il caso specifico di due cittadini respinti mentre tentavano di scalare i reticolati del confine.
L’accordo Italia-Tunisia
E veniamo all’Italia: perché non fa altrettanto con chi approda sulle coste di Lampedusa o altre località? La prima obiezione è la differenza geografica: un conto è rimandare indietro delle persone via terra, in sicurezza, un altro rimandare indietro per centinaia di miglia carrette del mare stracariche di esseri umani che in questo modo rischiano di annegare.
Occorre dunque rifarsi ad accordi internazionali che stabiliscano procedure di rientro per via aerea o marittima ma in sicurezza. Attualmente l’Italia ha sottoscritto patti bilaterali con pochi Paesi, il principale dei quali è la Tunisia, punto di partenza di uno dei flussi che attraversano il Mediterraneo.
Grazie ad appositi voli settimanali nel 2019 sono stati riportati indietro poco più di 7.000 migranti (fonte Viminale) ma causa Covid e annesse norme sanitarie nel 2020 questa cifra si è quasi dimezzata, a 3.600.
La Libia e il memorandum Minniti
Ancor più complicato il nodo della Libia, altro punto di partenza di barchini e gommoni diretti in Italia. Roma non ha nessun accordo specifico con Tripoli anche perché la Ue considera porti non sicuri quelli libici, dove ai migranti non viene garantito adeguato trattamento umanitario.
Qualsiasi respingimento verso la Libia è dunque considerato illegittimo e anche la Corte dei diritti dell’uomo ha già condannato l’Italia per un episodio risalente al 2009. Per riportare sotto controllo la rotta del Mediterraneo centrale l’Italia ha sottoscritto nel 2017 con Tripoli il controverso memorandum Minniti: questo, pur escludendo i respingimenti, prevede che la Guardia Costiera libica - sparita dal mare dopo la caduta di Gheddafi - riprenda a pattugliare la zona di sua competenza e presti soccorso alle imbarcazioni che rischiano di fare naufragio.
Per questo Roma ha finanziato l’acquisto di navi e l’addestramento della Guardia Costiera libica. Operazione di realpolitik, perché affida il controllo della rotta migratoria a un Paese che, come già detto, non garantisce i diritti umani e finisce per usare il controllo delle sue acque come arma di ricatto.
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