Federico Fubini per www.corriere.it
Se c’è una materia preziosa come il denaro, nella grande recessione di Covid-19, questa è il tempo. Ma ieri le due Europa che si fronteggiano sulla reazione da offrire hanno continuato drammaticamente – e alcuni dei protagonisti, deliberatamente - a perderne. Nessuno dei due fronti è oggi così forte da imporre la propria visione all’altro, ma entrambi lo sono abbastanza per interdirsi a vicenda. In queste condizioni qualunque risposta politica collettiva all’emergenza oggi sarà più lenta di quanto servirebbe: ma se la paralisi europea continuasse, possono guadagnare terreno solo i Paesi e i governi più forti, quelli in grado di sostenere con più risorse e più efficienza le imprese piccole e soprattutto grandi sui loro territori.
Ieri sera, in teleconferenza con gli altri leader dell’Unione europea, i protagonisti sono stati Giuseppe Conte e il suo collega spagnolo Pedro Sánchez. Entrambi decisissimi, spinti dall’urgenza dei contagi e di economie che non potranno resistere a lungo alla paralisi quasi totale. Entrambi sostenuti da un presidente francese mai così disposto a distanziarsi dalla Germania quanto Emmanuel Macron lo è stato ieri. Macron è arrivato a dire che il futuro dell’Unione europea dipende da ciò che questi leader decideranno. Eppure, per ora, non sembrano in grado di decidere granché.
Perché alla fine sono emerse preferenze opposte fra due gruppi sempre più radicati nelle loro trincee. Da un lato la Germania, sostenuta da Olanda, Austria, Finlandia e Paesi baltici, convinta che qualunque governo in difficoltà per l’epidemia debba seguire più o meno la strada disegnata per la crisi dieci anni fa: chiedere un prestito al fondo salvataggi Mes, magari «leggero» ma con condizioni d’ingresso e altre condizioni successive.
Poco importa che la stessa presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde (a porte chiuse) abbia definito questa via come «subottimale». Tra l’altro i crediti del Mes hanno priorità su quelli dei normali investitori, che perderebbero valore mettendo potenzialmente il Paese «salvato» sempre più in balia dello stesso meccanismo europeo.
Dall’altro lato anche ieri c’erano i leader firmatari di una lettera di due giorni fa, che per la prima volta chiedono di condividere nell’area euro parte dei costi di una crisi di cui non ha colpa nessuno. I premier di Italia e Spagna hanno portato dalla loro quelli della Francia, di Belgio e Lussemburgo (che ripudiano l’ostilità dell’Olanda alle mediazioni), dell’Irlanda (che abbandona il fronte dei Paesi del Nord) e la Slovenia (che divorzia dai satelliti centrorientali della Germania). Tutti uniti, con Lagarde, nel chiedere che l’euro si dia ciò che ha una qualunque vera moneta: almeno un po’ di bilancio comune.
Mai Angela Merkel era finita tanto sotto pressione. La cancelliera ha risposto nel suo stile: anziché apparire in videoconferenza come i colleghi, ha fatto proiettare una sua foto in giacca azzurra di parecchi anni fa. Un avatar dietro il quale la donna più potente d’Europa si è resa invisibile. Agli altri arrivava solo una voce mediata dalla traduzione, distante e cautissima.
Merkel sta solo facendo ciò che le riesce meglio: «Merkeln», il neologismo per descrivere l’inimitabile arte di temporeggiare. Ritiene che la Germania abbia tutto il vantaggio che le dà un pacchetto da 750 miliardi – garanzie, ma anche nazionalizzazioni di grandi aziende – che altri Paesi europei non si possono permettere. Spagna o Italia meno di tutti. Alla fine si è deciso che tra due settimane i ministri finanziari dell’euro dovranno presentare «proposte», mentre Commissione e Bce lavoreranno a un piano per il dopo-crisi.
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Da Bruxelles si pensa già a definire progetti per la sanità o la difesa dell’occupazione con un modello di Kurzarbeit (lavoro in solidarietà) alla tedesca, magari finanziandoli in comune con eurobond ad hoc. Senza proclami, ma con scopi ben definiti. Può aprirsi così uno squarcio, perché la posta non potrebbe essere più alta: decidere se l’euro è una vera moneta o un matrimonio d’interesse per sempre precario, appeso com’è alla munificenza della sola Bce.