Massimo Franco per il “Corriere della Sera”
PAPA BERGOGLIO E GIUSEPPE CONTE
Viene sempre più da chiedersi se lo scontro sia davvero tra il governo, e il Vaticano e i vescovi italiani; oppure se la dialettica a volte aspra con Palazzo Chigi non rifletta le contraddizioni e la strategia ondivaga di una Chiesa cattolica disorientata fin dall' inizio della pandemia; e alla ricerca di una linea chiara al proprio interno. Il tema è delicato, perché comporta un' analisi dei rapporti tra Francesco e la Cei. E induce a pensare che alcune posizioni dell' episcopato siano nate dallo sforzo di interpretare il più fedelmente possibile le intenzioni del Pontefice: tranne poi essere corrette o perfino smentite nello spazio di poche ore.
Anche se ieri sera, da fonti accreditate, è circolata la voce secondo la quale lunedì, poche ore dopo la dura presa di posizione della Conferenza episcopale contro le misure del governo nella fase 2, ci sarebbe stato una telefonata tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Casa Santa Marta, residenza papale dentro il Vaticano.
PAPA BERGOGLIO E GIUSEPPE CONTE
Da lì sarebbero nate l'ipotesi di «un protocollo per svolgere le messe in sicurezza», all'aperto, dall'11 maggio; e la presa di posizione di Francesco che ieri mattina, poco prima della messa a Santa Marta, ha scolpito poche parole suonate come appoggio al governo e frenata, se non sconfessione, delle critiche della Cei. «Preghiamo il Signore», ha detto, «perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell' obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni».
Parole di grande responsabilità, accolte tuttavia con una punta di imbarazzo e di sorpresa ai vertici della Chiesa italiana. Ma non è la prima volta che succede. Già a metà marzo , quando il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, aveva deciso dopo essersi consultato con il Papa di chiudere le chiese romane.
PAPA BERGOGLIO E GIUSEPPE CONTE
Neanche un giorno dopo, quella decisione era stata disdetta da Francesco, che aveva spinto De Donatis a emanare un nuovo decreto, opposto al primo. Il 15 marzo, un Pontefice solitario, attorniato dalla scorta - tutti senza mascherina protettiva -, aveva raggiunto a piedi la chiesa di San Marcellino in via del Corso per sostare davanti al Crocifisso ligneo del quindicesimo secolo portato in processione per sedici giorni, dal 4 al 20 agosto del 1552 per le vie di Roma, per esorcizzare la peste che infuriava in città.
E questo avveniva mentre in interviste pubbliche e con comunicati ufficiali i vertici della Cei spiegavano da giorni perché fosse giusto chiudere le chiese e sospendere messe, matrimoni e funerali; e mentre Palazzo Chigi diffondeva, compiaciuto, la notizia del Papa che invitava a pregare per le autorità «spesso sole, non capite»; e che nella messa mattutina nella sua residenza a Casa Santa Marta aveva difeso alcune misure «che non piacciono al popolo. Ma è per il nostro bene».
Tra ieri e oggi è accaduto qualcosa di simile. Una decina di giorni fa, a Casa Santa Marta, Francesco aveva detto che la Chiesa rischiava di essere «viralizzata» dal coronavirus.
«Questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, ma l' ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre».
PAPA BERGOGLIO E GIUSEPPE CONTE
Il 26 aprile, i vescovi hanno attaccato il decreto di Conte che rinviava la celebrazione delle messe. «I vescovi non possono accettare di vedere compromessa la libertà di culto. La decisione del governo è arbitraria», ha fatto sapere ufficialmente la Cei. Ma ieri sono risuonate di nuovo le parole papali. Sono smarcamenti nei quali non si avverte la volontà di delegittimare la Cei, sebbene di fatto il risultato sia questo.
Appaiono semmai il riflesso della difficoltà anche di Francesco a fronteggiare un' emergenza che modifica il modo di essere della religione cattolica, e chiama in causa i rapporti tra Stato e Chiesa: una questione di principio, nella quale il Papa si è ripreso la scena a spese della Cei.