RECOVERY MARIO - DRAGHI VUOLE UNA CABINA DI REGIA DI SEI MINISTRI (DANIELE FRANCO, ROBERTO CINGOLANI, VITTORIO COLAO, ENRICO GIOVANNINI, MARIA CRISTINA MESSA, ROBERTO SPERANZA) DANDO PIENO MANDATO PER L'ATTUAZIONE DEL RECOVERY PLAN A UNA STRUTTURA ATTUATIVA PRESSO IL MINISTERO DEL TESORO - COME DAGOANTICIPATO, NEL SUO “INNER CIRCLE”, TRANNE SPERANZA, SONO TUTTI TECNICI: NON SONO RAPPRESENTATI I AZIONISTI DELLA MAGGIORANZA, OVVERO CINQUE STELLE, LEGA E PD…
Alessandro Barbera per “la Stampa”
È deciso: la regia politica del Recovery plan andrà a un comitato di ministri riunito attorno a Mario Draghi. A due settimane dalla scadenza per la presentazione a Bruxelles del piano da duecento miliardi, il premier sta affrontando la complicata strettoia politica che costò il posto a Giuseppe Conte. Se l'allora premier avrebbe voluto accentrare tutto a Palazzo Chigi, Draghi sceglie la via francese, dando pieno mandato per l'attuazione del piano ad una struttura attuativa presso il ministero del Tesoro.
il ministro del tesoro daniele franco
Se Conte avrebbe voluto attorno a sé solo due ministri (Gualtieri e l'allora ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli), il comitato dei ministri di Draghi sarà più largo. Dovrebbe essere composto da sei persone, quelle maggiormente coinvolte nelle «missioni» del piano: Daniele Franco (Tesoro), Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Vittorio Colao (Digitalizzazione), Enrico Giovannini (Infrastrutture), Maria Cristina Messa (Ricerca), Roberto Speranza (Sanità).
C'è un però, che in queste ore sta creando a Draghi problemi coi partiti: fatta eccezione per Speranza, si tratta solo di ministri tecnici. Non sono ad esempio rappresentati i giovani, il Sud, né le pari opportunità, le cosiddette «direttrici trasversali» del piano. Non ci sono soprattutto i grandi azionisti della maggioranza, ovvero Cinque Stelle, Lega e Pd. Fonti di Palazzo Chigi gettano acqua sul fuoco: «La composizione del comitato sarà variabile, verranno coinvolti di volta in volta i ministri interessati da questo o quell'investimento».
Per Draghi quel che conta è aver affidato al Tesoro il ruolo di interlocutore unico con la Commissione europea e gli uffici che ogni sei mesi chiederanno conto dello stato di avanzamento di questa o quella spesa. Il premier due giorni fa in conferenza stampa ha preso l'impegno a presentare il progetto all'Unione entro il 30 aprile. Non è un termine perentorio, ma prima viene consegnato, più aumentano le probabilità di ottenere entro la fine dell'estate un anticipo delle risorse pari a circa 25 miliardi. Ebbene, nonostante manchino due settimane, ci sono ancora diverse questioni da mettere a punto.
Una è la citata sulla gestione politica e attuativa del piano: su questo Palazzo Chigi sta scrivendo un decreto ad hoc. Un secondo decreto ad hoc servirà a introdurre il cosiddetto «modello Genova», ovvero le deroghe alle norme sugli appalti che permettano di evitare lo stop ai cantieri in nome di questa o quella autorizzazione. Palazzo Chigi punta ad approvare entrambi i decreti entro fine mese, ma non è detto che riesca nell'impresa. Infine c'è un problema emerso nelle ultime ore, dopo il «forte rimaneggiamento» - così lo definisce un ministro che chiede di non essere citato - al piano del governo Conte.
Ne sono responsabili in gran parte Cingolani e Colao, i due ministri ai quali la Commissione europea (non una scelta nazionale) dà l'opportunità di spendere più di ogni altro ministero: a conti fatti, il nuovo progetto vale trenta miliardi in più dei 191 promessi sulla carta all'Italia. Draghi ha deciso di assecondare i piani dei due ministri tecnici, e per questo verrà attivato un fondo parallelo da alimentare con il bilancio nazionale, i soldi necessari a finanziare gli altri programmi europei, circa ottanta miliardi nei prossimi sette anni.
LUIGI DI MAIO E MATTEO SALVINI
Giovannini, che finanzierà così anche alcuni dei progetti stradali che il Recovery non gli consente di realizzare, la mette così: «Per una volta l'Italia ha più progetti che soldi a disposizione. Siamo dentro una distorsione cognitiva che ci fa credere di esaurire le capacità di spesa per investimenti con i fondi europei».
Resta il tema di fondo, ammesso candidamente da Draghi nell'ultima conferenza stampa: «Abbiamo perso credibilità nella nostra capacità di investire», e non da ieri, ma «svariati anni fa». Il Recovery può essere l'opportunità del riscatto, oppure la pietra tombale di quella credibilità.
ENRICO LETTA PARLA DI DRAGHI A PORTA A PORTA
Per evitare un flop epico, Draghi e Franco hanno pensato ad una struttura di coordinamento che sarà gestita direttamente dalla Ragioneria generale dello Stato. La stessa Ragioneria si farà promotrice di «task force» con le quali darà assistenza tecnica ai Comuni e alle Regioni nella realizzazione di questa o quell'opera. Il 26 e il 27 aprile Draghi spiegherà nel dettaglio al Parlamento settecento pagine che valgono il più importante progetto di investimenti pubblici dai tempi del piano Marshall e la sua credibilità come uomo di governo.