Andrea Morigi per "Libero quotidiano"
Se dalla Casa Bianca Donald Trump minacciava la Francia e l' Italia per evitare ai giganti americani di Internet il doppio pagamento dell' imposta digitale sia negli Stati Uniti che nei Paesi europei, ora il suo successore Joe Biden sposta il mirino sul Regno Unito. E stavolta sembra che le intenzioni dichiarate possano presto concretizzarsi in azioni che mettono nel mirino proprio un governo conservatore.
Del resto, la campagna elettorale per le presidenziali ha visto il candidato dei Democratici nettamente favorito dai social network, che hanno censurato l' avversario Repubblicano, per esempio, su Youtube, di cui è proprietaria Google. Se, per fornire un appoggio del genere i colossi dell' informazione si attendevano di essere ripagati in qualche modo, ecco come le promesse stanno per essere mantenute.
UN CONTO SALATO
A Londra è già arrivato il preventivo di un conto salato, che scatterebbe se i britannici osassero sfidare gli imperi finanziari dei cosiddetti Gafa, l' acronimo che sta per Google, Apple, Facebook, Amazon, cioè le aziende che si spartiscono il mercato mondiale della telematica.
Mentre sono tornate di moda le sanzioni verso gli Stati colpevoli di violazioni di diritti umani, si rispolverano anche le ritorsioni commerciali nei confronti degli alleati e l' amministrazione Biden minaccia di applicare tariffe di esportazione fino al 25% sui prodotti britannici, riporta la BBC sul proprio sito.
È stato sufficiente che un portavoce del governo guidato da Boris Johnson affermasse di volersi assicurare «che le aziende tecnologiche paghino la loro giusta quota di tasse» per far arrivare da Oltreoceano una lista di dazi che colpirebbero numerosi prodotti, tra i quali ceramica, trucchi, soprabiti, console di gioco e mobili e mirano a raccogliere 325 milioni di dollari, pari all' impatto che Washington si aspetta dalla web tax se entrasse in vigore nel Regno Unito.
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Solitamente, ma ancora di più dopo un anno di crisi nera degli interscambi internazionali dovuta alla pandemia, è sufficiente che gli Usa facciano la voce grossa per far tornare a più miti consigli i Paesi europei.
Per quanto riguarda l' Italia, sono ormai stati fissati, con la circolare numero 3 del 23 marzo scorso dell' Agenzia delle Entrate, i criteri per l' imposizione fiscale, fissata al 3%, sui servizi digitali, che dipenderanno sia dai soggetti interessati che dai ricavi imponibili e dai criteri di geolocalizzazione, cioè su fatturati realizzati da imprese di grandi dimensioni, anche non residenti, con ricavi globali pari ad almeno 750 milioni di euro e almeno 5,5 milioni di euro di ricavi da servizi digitali realizzati in Italia.
Vi è inoltre un capitolo intero dedicato alle convenzioni contro le doppie imposizioni e alla deducibilità dell' imposta. Il passaggio amministrativo era necessario per non lasciare che la legge rimanesse lettera morta, visto che ci si attendono 708 milioni di gettito per le casse dell' Erario nel 2021, recuperando anche i mancati introiti degli anni scorsi, quando la Digital service tax, introdotta con la legge di bilancio del 2019, era rimasta inapplicata, forse anche in attesa dell' esito della querelle ancora in corso fra la Francia e gli Stati Uniti.
Si renderà altrettanto cruciale, nel frattempo, anche un' intesa di tipo politico, ai massimi livelli internazionali, per evitare che le distanze fra Europa e Usa si trasformino in una guerra commerciale. Attualmente, vale il criterio di «approdo sicuro», che consente ai colossi del web di scegliere se versare le imposte a esosi Paesi dell' Ocse o nei più convenienti Stati Uniti.
VERSO UN'INTESA
la prima conferenza stampa di joe biden 2
Ieri, il direttore del centro di politica fiscale del' Ocse, l' organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa,Pascal Saint-Amans, nel corso di un' audizione davanti alle commissioni finanze di Camera e Senato, si mostrava ottimisticamente convinto che «i lavori sono molto avanti» e che «sotto la presidenza italiana del G20 spero che potremo ottenere rapidi progressi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, con l' idea di raggiungere un accordo senz' altro entro l' anno, magari a luglio a Venezia quando si riuniranno i ministri delle Finanze del G20».
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È anche la linea espressadal presidente del Consiglio Mario Draghi, che venerdì scorso si era detto fiducioso in quanto «in tema di tassazione delle multinazionali del web la precedente amministrazione americana aveva avuto un atteggiamento di totale chiusura. Ma questo è un problema che si può affrontare solo con gli Usa. Invece l' attuale amministrazione ha aperto, questo è un grosso cambiamento». Salvo ripensamenti dell' ultima ora, come quello di ieri.
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