Estratto dell’articolo di Susanna Turco per “L’Espresso”
[…] Antonio Tajani, 70 anni appena compiuti, eterno vice salito al trono di Forza Italia, più grazie all’entropia che all’ambizione […].
Tocca a lui adesso, chi l’avrebbe mai detto, incarnare il ruolo della fronda, in una compagine di governo che alla chiusura estiva del Parlamento sembrava liscia come un blocco di alabastro e che invece, sotto il sole di agosto, ha mostrato un’improvvisa capacità di aprirsi, dividersi, potenzialmente disfarsi, come s’è intravisto col caso del generale Roberto Vannacci e con l’apertura di quel pozzo senza fondo che è ciò che sta a destra della destra.
antonio tajani alla versiliana
In questa temperie fattasi inopinatamente vivace, con mesi di anticipo anche rispetto al fisiologico terremoto pre-Europee, a Tajani tocca il ruolo per lui faticoso del subgoverno, della minoranza interna, del sopracciglio alzato, dell’obiezione sul tavolo. Come è stato per la tassa sugli extraprofitti delle banche: protestare per essere stato tenuto all’oscuro, invocare condivisione, chiedere a gran voce modifiche. Portare tutti a pensare di poter suscitare in Meloni quello che nei primi anni Duemila Gianfranco Fini o Marco Follini con la loro guerriglia da vicepremier riuscivano a far postulare di Berlusconi: una reazione avversa, il segno di una capacità di influenza.
«L’ira di Silvio sugli alleati», era il titolo classico di quegli anni, adesso pronto a ripetersi, a parti invertite così come nel frattempo invertite sono le percentuali tra Forza Italia e la destra Msi-An- FdI.
antonio tajani e alessandro sallusti alla versiliana
Se ne intravedono già i segni. Vignetta di Makkox sul “Foglio” di mercoledì, ispirata dall’intervista di Meloni a “Chi”: «Allora, come sta andando questa esperienza di governo?. “A volte, co ’sti alleati, mi sembra di essere sulla giostra del calcinculo”. Scrivo ottovolante». Eccola, versione Luna Park, l’ira di Giorgia sugli alleati. Ira a giorni alterni: uno contro Tajani, un altro contro Salvini.
Perché poi, a differenza di una volta, i due vicepremier invece di allearsi sono in gara furibonda fra loro, per non soccombere sotto l’avanzata del partito del premier. E al segretario di Fi, per quanto rivendichi il ruolo di «ministro dell’Armonia», tocca cambiare interpretazione: da ufficiale di collegamento a forza di interposizione.
antonio tajani e alessandro sallusti alla versiliana
Dividere dove aveva unito, far sorgere spaccature dove aveva piallato. È venuta così fuori quella bocciatura degli alleati europei di Salvini alla quale neanche Meloni era arrivata. Lei non aveva posto veti all’alleanza con Le Pen e Afd. Lui invece sì. E parecchio: «Alternative fuer Deutschland mi fa schifo», ha scandito il ministro degli Esteri.
Nel placido appuntamento della Versiliana, a Marina di Pietrasanta. Urlando. In camicia di lino bianco Ralph Lauren, jeans e sneakers grigio ferro. Un lessico e un abbigliarsi che già dicono quanto stia andando lontano da se stesso – forse per riavvicinarsi ai suoi avi – l’ex studente del liceo Tasso di Roma (negli stessi anni di Maurizio Gasparri, suo amico da sempre, di Paolo Gentiloni e Marco Follini, rimasti invece estranei), famiglia d’antico lignaggio originaria di Vietri sul Mare, di tradizione politica ma anche militare (il padre ufficiale dell’esercito, con anche ruoli di comando Nato; lui stesso ufficiale dell’aeronautica), monarchico in gioventù fino a essere vicesegretario del “Fronte Monarchico Giovanile”, di casa nel quartiere Parioli, la chiesa di San Bellarmino in piazza Ungheria tuttora frequentata come parrocchia, considerato un «fighetto» persino dai giornalisti del Giornale epoca Montanelli, quando era il capo della redazione romana, prima di scendere in politica.
antonio tajani alla versiliana
Un andamento lontano dal presente: ma è questo adesso il prezzo della sopravvivenza. Ballare la tarantella. Nella stagione più difficile di Forza Italia, quella in cui bisogna dimostrare di poter avere un futuro, mentre Fratelli d’Italia tenta di fagocitare il partito azzurro da destra, Matteo Renzi da (diciamo) sinistra vorrebbe fare altrettanto e nel frattempo definisce il neosegretario «Forse Italia»; e fuori dalla porta c’è la famiglia B., con Marina e con Piersilvio, le rispettive ambizioni e gli oltre 90 milioni di credito verso il partito.
A Tajani calzava insomma più felicemente l’atteggiamento assunto per decenni e fino a poco fa. Tra i fondatori di Forza Italia, portavoce di Berlusconi nel suo primo governo, molto avendo appreso nei modi da Gianni Letta, con in soprammercato una notevole gommosità che lo storico «portasilenzi» non ha mai avuto, Tajani si è specializzato nel ruolo di cuscinetto invisibile.
[…] Il punto d’oro dell’invisibilità Tajani l’ha raggiunto durante il governo Draghi: come ricompensa per non essere diventato ministro, fu nominato coordinatore unico di Forza Italia. Raddoppiò allora la morbidezza, oltre l’epoca di superMario: nelle primissime fasi del governo Meloni, Tajani è stato il prezioso ritessitore delle alleanze che il Cavaliere andava strappando, l’altra faccia del liciaronzullismo e dei vaffanculo sibilati a Ignazio La Russa prossimo all’elezione a presidente del Senato (coi voti di Renzi e non con quelli di Forza Italia, a proposito di crediti da riscuotere).
È stato lui – un po’ come fece ai tempi con la sua amica Angela Merkel – che ha portato a riconfermare a giugno, a Roma, la kermesse «le giornate di studio» del Ppe che Manfred Weber aveva annullato a febbraio (erano previste a Napoli), in polemica con le frasi del Cav sul presidente ucraino Zelensky («non sarei andato in Ucraina a incontrarlo»).
[…] Ma la morte di Berlusconi, che è il vero evento politico dell’estate, lo ha portato per forza o per sopravvenuta inclinazione – metamorfosi dei lutti stretti – a dismettere la solita faccia, per trovarsene un’altra. Non è l’ultraterreno: il rischio concreto è dietro l’angolo, ha il nome e il volto di Angelino Alfano, il solo altro segretario di un partito di Berlusconi (escluso Berlusconi).
[…] Al contrario la speranza, in prospettiva, è lusinghiera. Con il suo «equilibrio» (tra le parole più amate), il lungo curriculum, i rapporti internazionali, la placida credibilità, Tajani ha infatti tutte le carte in regola per aspirare un giorno al Colle più alto – anche per assenza o quasi di competitor nel suo schieramento (basti pensare alla parabola discendente dei tre indicati un anno e mezzo fa nella «rosa» di Meloni e Salvini: Pera, Nordio, Moratti. Per non parlare di La Russa). Sempre che la giostra dell’ottovolante del centrodestra non lo faccia fuori prima.
IL POST DI FERRAGOSTO 2023 DI ANTONIO TAJANI ANTONIO TAJANI E GIORGIA MELONI COME MASSIMO SEGRE E CRISTINA SEYMANDI