DAGOREPORT
“Moro vivo… Moro morto… Ma a chi sarebbe convenuto un Moro vivo?”, si domanda oggi su Dagospia Marco Giusti recensendo “Esterno notte” di Marco Bellocchio, miniserie in sei puntate su Rai Uno dedicata al rapimento Moro.
E si risponde: “Non certo alla DC e a Andreotti, né al PCI di Berlinguer, né ai servizi americani, che attraverso Cossiga conducono la loro strategia. Mentre Craxi è per trattare, intuendo che è quello che gli americani non vogliono. Certo che sarebbe convenuto alle BR. Che con Moro vivo magari non sarebbero state decapitate come accadrà neanche due anni dopo”.
Ben detto, Marco: “con Moro vivo magari non sarebbero state decapitate come accadrà neanche due anni dopo”. Da qui si deve partire per riaprire la botola dell’assassinio di Aldo Moro.
Per anni ho frequentato Francesco Cossiga, che intervenne frequentemente su Dagospia allorché non solo i giornali ma perfino le agenzie di stampa decisero che era un “pazzo con piccone” e non andava più pubblicato.
E ciò che ho imparato dal Gattosardo è che la politica non si esaurisce nella semplice lettura degli interessi nazionali. E’ geopolitica perché occorre mettere sempre in gioco il posto dell'Italia in Europa e nel mondo.
Il mistero della non trattativa e della morte di Aldo Moro sta tutto lì: geopolitica.
Il Bel Paese nell’anno 1978 non era un'oasi; non viveva in dorato isolamento; l’Italia aveva perso la seconda guerra mondiale, il patto di Yalta aveva sancito una separazione netta tra le zone di competenza di Occidente e Oriente, e a Berlino per saldare lo stato della Guerra Fredda l’Unione Sovietica tirò su un minaccioso muro. I governi delle nazioni sconfitte, Italia e Germania, non potevano illudersi di essere paesi sovrani senza pagare un prezzo salato. Le basi Nato erano a Ghedi, Aviano, Bagnoli, Sigonella, etc..
L’orribile rapimento di Moro vide il duello tra chi era favorevole a una trattativa con le Brigate Rosse (socialisti e molti democristiani) e chi si opponeva (comunisti di Berlinguer e il nascente partito di “Repubblica” con in testa Scalfari).
Fino al ’78 l’unico terrorismo era incarnato dal fronte palestinese di Arafat che in Italia godeva politicamente, ma anche economicamente, del supporto di Craxi e Andreotti. Cosa che irritava profondamente Washington (con l’assassinio di un cittadino statunitense ebreo sulla nave da crociera Achille Lauro e il conseguente fattaccio di Sigonella con il duro scontro tra Craxi e Reagan, il rapporto con gli Stati Uniti si trasformò in piena ostilità).
Francesco Cossiga in via Caetani, davanti alla R4 con il cadavere di Aldo Moro
Veniamo al punto dolente. Sul anti-terrorismo all’italiana l’intelligence americana aveva idee dure e contrarie: non si colpisce una cellula delle Brigate Rosse ma si deve estirpare tutta la rete terroristica.
Intervenire in via Gradoli – dove erano asserragliati i brigatisti Moretti e Balzarani, come suggerito dal ‘’medium’’ di Prodi – avrebbe innescato secondo i cervelli dell’FBI una reazione funesta: quella di fortificare le altre cellule, infiammando ancor di più il terrorismo (le vittime delle Br, dal 1974 al 2003, sono state 84).
Occorreva dunque sacrificare la vita di Aldo Moro per non abbandonare l'Italia alla mercé delle Brigate Rosse.
All’epoca ministro degli Interni, Cossiga ricevette a Roma, volati da Washington, gli emissari dell’Fbi, tra cui il funzionario del Dipartimento di Stato Steve Pieczenik, sperimentato gestore di crisi internazionali nonché negoziatore di ostaggi, che imposero al governo italiano la "strategia della fermezza" e quindi presero in mano la gestione dell’operazione Moro che si concluse con la decapitazione delle Brigate Rosse due anni dopo.
(Il mitologico Pieczenik, vice sottosegretario di Henry Kissinger, Cyrus Vance, James Baker negli anni più delicati della Guerra Fredda, quando - ancora giovanissimo - ricopriva in giro per il mondo incarichi in stile "sono il signor Wolf, risolvo problemi", divenne il super-consulente americano che si vedeva costantemente al fianco di Francesco Cossiga, nei fatidici 55 giorni del rapimento Moro. Lo stesso Pieczenik, riporta "The Telegraph" dell'11 marzo 2008 ("L'inviato Usa ammette il ruolo nell'uccisione di Aldo Moro"), dichiarò che era necessario "sacrificare" Moro per la "stabilità" dell'Italia).
Il Gattosardo era dunque a conoscenza di tutto e, posto di fronte alla Ragion di Stato, dovette piegare la testa e lasciare al suo terribile destino il suo compagno di partito e maestro politico.
Annamaria Cossiga, in una struggente intervista sul “Corriere” del 2020, ha raccontato il dramma del padre: ‘’il suo dolore era visibilmente somatizzato: i capelli gli diventarono bianchi, la pelle macchiata dalla vitiligine. Si sentiva responsabile di quella morte. E sì, capitava che di notte si svegliasse dicendo: “L’ho ucciso io”.
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