Estratto dell'articolo di Giancarlo Dotto per la Gazzetta dello Sport
Come arriva a imporsi il nome di Rudi Garcia nella vesuviana testa del presidente?
Possibile che alla fine, tra tanti candidati di grosso calibro, la scelta sia stata anche suggerita dalla bio e psicodiversità dei due: il subentrante Garcia e l’uscente Spalletti. Scommettere sulla discontinuità. Cambiare radicalmente paesaggio e clima nel momento in cui si tratta di affrontare una sfida che tremare i polsi fa. Ripartire da uno scudetto stravinto, la festa ancora viva e la ferita ancora più viva di uno strappo tra l’allenatore vincente e una piazza in amore.
L’addio di Spalletti resta una nuvola pesante. Non ha intossicato la festa, ma certo l’ha viziata con il suo gigantesco perché. Perché separarsi ora, maledizione, sul più bello, ora che c’era da bearsi della vendemmia? Incomprensibile.
Nessuno capiva, però accadeva.
La stanchezza di Spalletti aveva qualcosa di bello ma troppo faustiano per le logiche elementari del pallone. Per chi lo conosce bene quello sentirsi stremato è un mistero leggibilissimo, ma quanti possono dire di conoscerlo bene?
Si contano sulle dita di una mano.
Le diversità Ed ecco che, al centro di quel perché, si presenta la faccia cinematografica di Rudi. Una volta spiantata la chiesa dal centro del suo villaggio, bisognava cambiare sacerdote e religione oltre che chiesa. La diversità di Garcia. Il suo mondo radicalmente altro da Spalletti.
Rudi è un gaudente. Il che, attenzione, non vuol dire che sia frivolo. Tutt’altro. L’uomo è responsabile, serio, si lascia implicare profondamente dalle cose. Solo che, a differenza di Spalletti, sa rassegnarsi alla felicità, non ne diffida. Sa godere delle cose belle della vita. Non si sognerebbe mai di lasciare una donna o una squadra per “troppo amore”. I paradossi non sono il suo pane. Se amare Napoli e farsi amare è stata per l’uomo di Certaldo una conquista mistica, per l’uomo di Nemours, solare come pochi, sarà un fatto naturale. Due persone perbene, due uomini notevoli, che sia averceli in panchina a menare le danze o compari nello stesso tavolo di osteria, ma per storie e ubriacature diverse. Luciano è sempre attraversato da qualcosa, il che lo rende complicato da frequentare ma splendido da raccontare.
La sana semplicità di Rudi è oggi la risorsa giusta per una città che rischia d’invischiarsi al primo incidente nella nostalgia. Lo fu certamente, una risorsa, Garcia quando capitò pressoché sconosciuto in una Roma corrosa dal malessere per quel derby perso nella finale di coppa Italia (al suo arrivo a Trigoria gli regalai il bene augurante “Ascenseur pour l’échafaud”, ascensore per il patibolo, le musiche di Miles Davis per il film di Louis Malle). Invenzione coraggiosa, allora, di Walter Sabatini. Che aveva nel cassetto il contratto firmato e poi rinnegato da Allegri, ma si sentì presto risarcito dall’aver puntato sul francese di sangue andaluso.
Sfida Champions Una volta perso il magnifico asceta che s’isolava dal mondo, la cosa migliore era mettersi nelle mani di un amabile uomo di mondo. Il primo non staccava mai la spina e questo spiega il survoltage. L’altro sa come e quando staccarla, la spina. Il primo viaggia impossibile sul confine dello scompenso, il secondo sa tenere la barra dritta, difficilmente si lascia turbare.
(...)
Garcia pensa positivo sempre. È fatto così. Lo fa per istinto e per metodo. Sangue ispanico, ma razionalità cartesiana. Lasciò Roma con dispiacere autentico, smunto ma con grande dignità, dopo averla rimessa al centro del villaggio. Sopravvissuto a stento alle ingiurie della piazza microfonata, forcaiola e di labile memoria. Anche allora difese senza esitazioni il suo “troppo amore”, in quel caso una giornalista romana, Francesca, che a breve lo renderà padre per la quarta volta. Il passaggio al calcio arabo sembrava l’antefatto, alla soglia dei 60 anni, di un milionario addio al calcio che conta. Così non è. Esperienza dimenticabile. Abortita nel deserto di ogni cosa. Il fuggevole faccia a faccia con la star del calcio planetario lo ha indebolito e, nello stesso tempo rafforzato.
aurelio de laurentiis spalletti
Avendo avuto a che fare con il dispotico Cristiano sarà un gioco da ragazzi trastullarsi con due bravi ragazzi come Kvara e (si spera) Osimhen. In testa, una magnifica idea. La sfida di Champions. Quella finale solo sfiorata con il Lione. Nel bene e nel male il violino di Garcia sembrava aver perso l’ispirazione, ma poi è arrivato l’Immaginifico Aurelio e la storia riparte. Hanno avuto dieci giorni per annusarsi. Che Dio benedica il loro olfatto!