Marco Molendini per Dagospia
Allora la musica non sempre delude in televisione. Dipende da come viene raccontata. Male con gli show, stando non solo agli ascolti della rete ammiraglia di quello che una volta veniva chiamato servizio pubblico, bene quando invece i personaggi musicali diventano storie scritte prodotte come fiction e capaci di attrarre non solo con le loro canzoni, ma anche attraverso gli intrecci della loro vite. Nell'ultimo mese, pensando di offrire conforto a questi tempi cupi, Rai 1 ha lanciato una serie di show musicali chiamandoli, con malposta presunzione, A grande richiesta.
La grande richiesta, invece, si è trasformata in un grande rifiuto che ha riguardato, con dati clamorosi, tutte e quattro le puntate andate in onda finora. Eppure si trattava di raccontare vicende popolari come quelle dei Ricchi e poveri, di Patty Pravo, di Loredana Bertè (la prima puntata, invece era tematica e dedicata all'amore, non un grande sforzo di fantasia accompagnato da un altro inesistente sforzo di elaborazione). Sarebbero state l’occasione per imbastire delle trame narrative avvincenti più che delle semplici carrellate messe insieme alla meno peggio, accontentandosi di puntare sull'appeal di canzoni conosciute da tutti.
Anche le canzoni di Nada sono note, fanno parte della memoria collettiva nazionale, e non sarebbero bastate a trasformare La bambina che non voleva cantare in un successo di pubblico (l'altra sera con il 23,2 di share e cinque milioni e mezzo di share). Il film scritto da Monica Rametta e Costanza Quatriglio ha puntato sul personaggio più che sulle hit, seguendo un format che ha già trasformato un bel numero di biografie musicali in successi televisivi da Rino Gaetano a Fabrizio de Andrè, a Mia Martini, tanto per citare le più gettonate (e la fiction, come ha dimostrato anche ieri il 27,1 per cento di Che Dio ci aiuti, a tenere a galla la rete diretta da Coletta).
Sicuramente anche le vite di Loredana Bertè e Patty Pravo sarebbero spunto di vicende da raccontare. Invece hanno finito per essere occasioni perse (pur impegnando risorse notevoli, pare 750 mila euro a puntata), esponendo dei personaggi che non lo meritano alla miseria di ascolti umilianti, l'8,3 per cento di Minaccia bionda (e quella di Nicoletta avrebbe potuto essere il racconto anche dell'Italia degli anni 60 e 70), o il 13,8 di Non sono una signora (e la storia di Loredana è altrettanto forte) o i il 12,6 dei Ricchi e poveri (per la cronaca Parlami d’amore aveva raccolto il 10,2).
Insomma, la musica ha contribuito in modo deciso al flop ormai endemico della rete, che è riuscita a seminare pubblico anche con un Sanremo andato in onda in tempi di reclusione domiciliare per gli italiani (nella settimana del festival Rai 1 ha lasciato per strada un esercito complessivo, sommando il calo di tutte e cinque le serate), di 8 milioni di telespettatori).
la bambina che non voleva cantare
Ma la musica in tv non è che non funzioni, si tratta di saper farla funzionare. Da Sanremo agli show, nella cui scrittura andrebbe impegnata gente che sappia imbastire una trama, come si fa nella fiction, per non dare al piatto che si offre al pubblico il sapore rancido di una minestra riscaldata da un pugno di canzoni che conoscono tutti.
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