TIRA UNA BRUTTA SHARIA IN QATAR - SI AVVICINANO I MONDIALI E IL PAESE DEL GOLFO INIZIA A MOSTRARE LA VERA FACCIA: PRIMA LE ACCUSE DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI, POI IL DIVIETO DI SVENTOLARE NEGLI STADI BANDIERE ARCOBALENO E INFINE LE DICHIARAZIONI DELL'AMBASCIATORE DEI MONDIALI, KHALID SALMAN ("L'OMOSESSUALITÀ È UN DANNO PSICHICO") - I QATARINI SI DEFINISCONO "WAHHABITI MA SUL MARE", UNA VERSIONE "LIGHT" DELL'INTEGRALISMO ISLAMICO CHE CARATTERIZZA L'ARABIA SAUDITA, MA DI FATTO LA SHARIA REGNA ANCORA SOVRANA, ANCHE SE...
Giordano Stabile per “la Stampa”
Quando parlano con gli stranieri i qatarini amano definirsi "wahhabiti ma sul mare". Come dire la versione light dell'integralismo musulmano che caratterizza la vicina, e rivale, Arabia Saudita. Una rigidità di facciata, in un Paese aperto al mondo, ai commerci e ai visitatori, come la Coppa del Mondo, in programma dal 20 novembre in poi, dovrebbe dimostrare una volta per tutte. Per il giovane emiro Tamim ben Hamad Al Thani si tratta di una consacrazione e una rivincita nei confronti del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, un altro che ha puntato molto sullo sport per rinfrescare l'immagine del Regno. Con risultati alterni.
Anche a Doha, però, le contraddizioni, continuano a esplodere man mano che si avvicina l'evento. Prima la proibizione di mostrare negli stadi bandiere arcobaleno, simbolo dei diritti delle minoranze sessuali. Poi le dichiarazioni, ieri, dell'ambasciatore dei Mondiali, Khalid Salman, l'uomo che in teoria dovrebbe mostrare il volto tollerante dell'Emirato, il Paese fra i più ricchi al mondo, con un reddito pro capite doppio rispetto a quello italiano, seduto su giacimenti giganteschi di gas in continua rivalutazione, vista la crisi energetica innescata dall'invasione russa dell'Ucraina.
E invece, in una intervista all'emittente televisiva tedesca Zdf, Salman ha definito l'omosessualità «un peccato e un danno psichico». E ha ribadito un concetto già espresso, fra le polemiche, da altri funzionari reali: «Durante i mondiali di calcio arriveranno molte cose nel nostro Paese. Parliamo dei gay - ha puntualizzato -. La cosa più importante è la seguente: tutti accetteranno che vengano nel nostro Paese. Ma loro dovranno accettare le nostre regole».
Cioè i principi islamici che condannano l'omosessualità. Parole «orribili», ha replicato subito la ministra dell'Interno tedesca Nancy Faeser. Mentre il Comitato organizzatore chiedeva la sospensione dell'intervista. Ora si attendono le scuse dell'ambasciatore, in un braccio di ferro con i valori occidentali che ha visto le contraddizioni esplodere anche in Europa, quando il ministro degli Esteri britannico James Cleverly, due settimane fa, aveva chiesto ai propri fan di mostrare «spirito di compromesso» e di essere «rispettosi del Paese ospite» riguardo appunto i diritti Lgbt. Scatenando la reazione dei laburisti che avevano definito «scioccanti» i suoi propositi.
Lo choc è attenuato dal fatto che il Qatar è uno dei più solidi alleati occidentali in Medio Oriente. Pochi chilometri a Sud della capitale Doha, nella base di Al-Udeid, ci sono 10 mila soldati americani e decine di cacciabombardieri a vegliare sul Golfo e a controllare il minaccioso Iran sulla costa opposta. Lunghe colonne di navi metaniere trasportano il prezioso liquido verso i rigassificatori europei. Quel che basta per indurre gli alleati a chiudere gli occhi sui diritti. Lo sfruttamento dei lavoratori stranieri, soprattutto asiatici, è stato attenuato da un accordo, nel 2018, con l'Ilo di Ginevra.
La sharia regna ancora sovrana, ma viene applicata con in maniera meno plateale, rispetto a Teheran o anche Riad. Niente decapitazioni in piazza, per esempio. I rapporti omosessuali sono in teoria puniti con una multa e carcere fino a sette anni. E addirittura con la pena capitale in caso di tradimento coniugale. Ma non si ha notizia di esecuzioni da decenni. Human Rights Watch, in un rapporto dello scorso settembre, ha documentato sette casi di «arresti arbitrari» e «maltrattamenti in carcere» a danno di persone Lgbt fra il 2019 e quest' anno.
Ma il "wahhabismo light" non riesce ancora a fare il salto verso una tutela delle minoranze che sia anche riconosciuta e codificata. La difficoltà risiede soprattutto nel patto sociale alla base delle monarchie del Golfo. Che si richiamano tutte, in una maniera o nell'altra, alla sacralità della Penisola arabica, culla dell'islam. Se la legittimità della casa dei Saud risiede proprio nel patto iniziale con il religioso integralista Mohammed bin Abdelwahhab, Doha si è sempre ritrovata in mezzo alle mire di Riad e quelle delle potenze straniere, dall'Iran alla Turchia, fino ai protettori britannici.
Dagli anni Settanta gli enormi giacimenti di idrocarburi ne hanno garantito l'indipendenza, mentre sul fronte religioso la scelta della dinastia Al-Thani è stata la protezione dei Fratelli musulmani, a cominciare dal leader, l'egiziano Yusuf al-Qaradawi, uno che sì predicava la messa a morte degli omosessuali e declamava i suoi sermoni su Al-Jazeera.
Con la triste fine delle Primavere arabe, Qaradawi, scomparso a settembre, è stato ridimensionato, mentre Doha si preparava ad accogliere centinaia di migliaia di tifosi da tutto il mondo. Ma le sue idee rimangono radicate in gran parte della dirigenza qatarina. E non basta un evento sportivo a spazzarle via.