L’ARTE DEI POPOLI - UNA MOSTRA RACCONTA IL LEGAME TRA ALIGHIERO BOETTI E IL SUO ASSISTENTE AFGHANO ALI SALMAN E RIVELA UNA KABUL ANCORA FIABESCA, NEGLI ANNI CHE PRECEDETTERO L'INVASIONE SOVIETICA DEL 1979: “C’ERANO DONNE IN MINIGONNA. LA GENTE NON TROVAVA STRANO CHE UNO STRANIERO AVESSE UN ALBERGO A KABUL, PERCHÉ ALIGHIERO ERA DIVERSO…
NICOLETTA ORLANDI POSTI per Libero Quotidiano
Gli arazzi sono tra i lavori più conosciuti di Alighiero Boetti, gigante dell'arte contemporanea che usò i fili da ricamo come colori o pastelli. In diversi formati, suddivisi in griglie in cui sono inserite frasi e motti inventati dallo stesso artista, queste opere "misteriose" sono per volontà dello stesso Boetti, opere collettive. E già: l'uso dell'arazzo non nasce dalla volontà di recupero di tecniche artigianali, ma dalla necessità di Boetti di porsi oltre lo stile e la maniera individuale, di far scomparire "l'artista" dentro la sua opera. Boetti diventa un regista che catalizza e amplifica le energie delle mani che tessono; l'opera diventa memoria condivisa.
E la memoria è quella di un Afghanistan che non c'è più e che oggi diventa indispensabile raccontare e documentare. Come ben ha fatto Salman Ali che conobbe Alighiero Boetti nel 1971- cinquant' anni fa- a Kabul dove l'artista faceva la spola due volte l'anno per commissionare alle donne afghane le opere da lui disegnate e ricamate secondo la tradizione locale. Boetti lì aveva aperto il famoso One Hotel e per Salman, ventitreenne, non fu difficile trovare nell'albergo il suo primo impiego. Arrivava da Kandahar dove aveva appena finito il servizio militare. Fu un rapporto di lavoro, ma anche di fraterna amicizia.
L'AUTOBIOGRAFIA Nel 1972 Boetti propose a Salman Ali di seguirlo a Roma. Da quel momento ha vissuto costantemente accanto a lui e alla sua famiglia, diventando molto più di un semplice assistente: un membro della famiglia. Si occupava della famiglia, dei bambini, della casa; seguiva Boetti nei suoi viaggi e nel suo studio dove garantiva ordine perché «tutto andasse bene e che capo fosse tranquillo», come ricorda lo stesso Salman nella sua autobiografia edita da Forma che diventa mostra «Salman AliGhiero Boetti» alla Tornabuoni Arte di Milano.
Qui è infatti esposta la collezione privata di Salman Ali, frutto di regali da parte dell'amico fraterno Boetti, ma ci sono anche le foto che raccontano l'affetto dell'artista per il suo collaboratore ed amico più stretto e soprattutto l'Afghanistan di quegli anni, quello che precedette l'invasione sovietica del 1979: un Paese che era un paradiso, meta fiabesca di quanti cercavano la spiritualità e una geografia senza frontiere.
«L'atmosfera in quegli anni era serena. C'era la libertà», racconta Salman Ali. «L'Afghanistan era un Paese poco conosciuto nel mondo, non c'era internet e vivevamo come volevamo. Gli stranieri che venivano in Afghanistan erano spesso hippies o grandi viaggiatori e sempre molto rispettosi ed educati. In quegli anni», continua Salman Ali, «anche le donne vivevano bene. C'erano donne in minigonna a Kabul». Nella sua autobiografia Salman racconta pure dell'One Hotel, delle sue undici camere, del giardino bellissimo con la vigna.
«La gente non trovava strano che uno straniero avesse un albergo a Kabul, perché Alighiero era diverso, si adattava e diventava normale che fosse lì». Come era normale che affidasse il compito di realizzare le sue opere alle ricamatrici del posto. Si chiamavano Fatima e Abiba ed erano sempre loro che realizzavano le sue famose mappe. Salman spiega che prima di incontrare Boetti lui conosceva i Paesi che confinavano con l'Afghanistan, come il Pakistan, l'Iran, l'Uzbekistan, il Tajikistan, ma non li aveva mai visti tutti insieme in una mappa. Chiese cosa fosse quella grande macchia rossa e Boetti gli spiegò che era la Russia. La Russia che, anno dopo anno, dilagherà inghiottendo l'Afghanistan. Era il 1979 e Salman rimase bloccato nel teatro degli scontri tra Urss e i mujaheddin perché avevano chiuso le frontiere. Esattamente come oggi, cinquant' anni dopo.
L'INCIDENTE Solo nell'estate del 1982 Salman riuscì a tornare in Italia e immediatamente corse al capezzale di Alighiero che era rimasto vittima di un brutto incidente stradale. Appena lo vide, l'artista scoppiò in un pianto di gioia, racconta Agata Boetti, figlia di Alighiero, che ieri ha presentato la mostra alla Tornabuoni Arte. «Mio padre ha creato una grande famiglia tra noi tutti», dice Agata indicando le fotografie che la ritraggono insieme alla mamma, Annemarie Sauzeau e al fratello Matteo. Una famiglia che resta sempre unita: Salman è in pensione, ma continua ad essere presente in archivio, a casa e nella vita di ciascuno di loro. La mostra merita davvero di essere visitata.
uno dei piccoli ricami di alighiero boetti della collezione salman alimappa alighiero boetti1967 alighiero boettialighiero boetti 3alighiero boetti 2alighiero boetti 1aerei boettialighiero boetti robilantvoena 2alighiero boetti nello studio del pantheon nel 1988