SIKH ET SIMPLICITER – IL PRESTIGIOSO “TURNER PRIZE” 2024, ALL’ARTISTA BRITANNICO DELL'ANNO, È ANDATO A JASLEEN KAUR, DI ORIGINE SIKH – È STATA PREMIATA PER L'OPERA “SOCIOMOBILE”, UN’AUTO RICOPERTA CON UN GIGANTESCO CENTRINO DI PIZZO, CHE RICHIAMA ALLA VITA DEGLI IMMIGRATI DI SECONDA GENERAZIONE – RITIRANDO IL PREMIO, KAUR S'È LANCIATA IN UN PIPPONE PRO-PALESTINA E HA INVITATO LA TATE MODERN A TAGLIARE I RAPPORTI CON I FINANZIATORI LEGATI A ISRAELE – RIELLO: “NELLA LOGICA DI ‘PECUNIA OLET’ SAREBBE STATO OPPORTUNO MENZIONARE ANCHE I FINANZIAMENTI CINESI E DEI PAESI DEL GOLFO. PER QUALCUNO CI SONO COLONIALISMI TOSSICI E COLONIALISMI VIRTUOSI…”
Antonio Riello per Dagospia
Il Turner Prize è un prestigioso riconoscimento (ovviamente dedicato alla memoria di J.M.W. Turner) che premia l'artista dell'anno in Gran Bretagna. Tra i vincitori del passato: Anish Kapoor, Steve McQueen, Anthony Gormley, Grayson Perry, Jeremy Deller, Helen Marten e Veronica Ryan. Jasleen Kaur è stata proclamata vincitrice della quarantesima edizione (25.000 Sterline). La premiazione, presieduta da Alex Farquharson, si è svolta il 3 Dicembre alla Tate Britain di Londra. A consegnare il premio è stato l'attore James Norton.
JASLEEN KAUR RICEVE IL TURNER PRIZE 2024
L'artista, la cui famiglia è di origine Sikh, è nata (1986) e cresciuta nel quartiere multietnico di Pollokshields di Glasgow, in Scozia. Ha studiato gioielleria e poi si è votata all'Arte Contemporanea. Ha esposto, in passato, al Baltic di Gateshead e al Tramway Art Center di Glasgow. Attualmente vive e lavora a Londra.
La Kaur era stata selezionata ("shortlisted") per il Turner Price assieme ai colleghi Pio Abad, Claudette Johnson e Delaine Le Bas. E il suo lavoro, "Sociomobile", era risultato fin da subito favorito (decisamente più iconico rispetto a quello degli altri concorrenti). "Sociomobile" consiste di un'auto (una sgargiante Ford Escort Cabriolet Mk3) parzialmente ricoperta con un gigantesco centrino di pizzo.
Dallo stereo dell'aut, ad alto volume, le note del DJ Grandmaster Flash un mito della musica hip hop degli anni '90. Un altare per celebrazioni collettive nel giardino condominiale? O un ironico arredo domestico fuori scala? Si possono vedere anche altre sue creazioni che riportano alla vita degli immigrati (in questo caso dal Punjab) di seconda generazione delle periferie britanniche (finti tappeti di marca, etc etc). L'artista ha il considerevole talento, attraverso l'uso di oggetti, di saper raccontare con trasporto poetico storie e ambienti.
JASLEEN KAUR RICEVE IL TURNER PRIZE 2024
Qualcuno si è affrettato a paragonare l'auto-con-pizzo all'eponimo "My Bed" (1998) di Tracey Emin. Questo è un lavoro senz'altro intelligente, ma rispetto all'energia degli Young British Artists potremmo definirlo - senza mancare di rispetto - come una forma di manierismo ben fatto (e fortemente improntato sulla sociologia delle minoranze).
L'ossessione identitaria che ha segnato negli ultimi venti anni questo premio l'ha resa oggetto di critiche severe (vedi, tra tanti, Laura Freeman sul Times). Di certo una curiosa forma di "orientalismo 3.0" (sicuramente animato dalle migliori intenzioni) si annida nelle giurie degli ultimi anni del Turner Prize: tutto quello che viene in qualche maniera dalle ex-colonie sembra essere - a prescindere - "più rilevante ed interessante del resto". Una visione rispettabile, ma inevitabilmente anche un po' distorta.
La Kaur ha comunque celebrato la vittoria con un discorso. Bardata con una sciarpona che esibiva i colori della bandiera palestinese, dopo aver ringraziato giuria, amici, parenti (vicini e lontani) è partita con una reprimenda intimando alla Tate di tagliare i rapporti con i benefattori legati - in qualsiasi modo - ad Israele in quanto paese colpevole di oppressione coloniale e genocidio (intendendo qui in particolare la Fondazione Zabludowicz, storico supporter finanziario del museo).
Fuori un eccitato gruppo di pro-Pal faceva da coro alle sue affermazioni. Da precisare subito che artisti e artiste hanno il sacrosanto diritto di dire la loro sulla politica (e quindi anche, se lo ritengono opportuno, di sostenere la causa palestinese). E va contemporaneamente sottolineato che perfino molti cittadini israeliani provano disgusto e forte disappunto per molte delle recenti attività militari dello Stato di Israele a Gaza.
Ma le accorate (e scontate) richieste della Kaur avrebbero potuto essere certo più credibili se, nella stessa adamantina logica di "pecunia olet", fossero stati menzionati anche i finanziamenti cinesi (Tibet e minoranze uigure) e quelli dei paesi del Golfo (pagano e armano la feroce guerra civile in Sudan, e non solo quella). Evidentemente per qualcuno ci sono colonialismi tossici (quelli in qualche modo riferibili all'Occidente) e colonialismi virtuosi e solidali (tutti gli altri).
Sempre a Londra, alla Anthony Wilkinson Gallery, c'è la mostra di George Shaw (nato a Coventry nel 1966). Artista selezionato per il Turner Prize nel 2011 (senza risultare alla fine vincitore). Impegnato e progressista (ma di temperamento schivo e senza connotati particolarmente "woke") Shaw è votato ad una pittura figurativa nitida e definitiva.
Spesso usa gli smalti impiegati dagli aeromodellisti per dare ai suoi quadri una finitura precisa dai tratti molto caratteristici. Il titolo della mostra "Albion Groans" è tratto da una celebre lirica di William Blake ("Jerusalem", 1810) che aveva vissuto in una piccola abitazione situata vicino all'indirizzo della galleria (che si trova in Lexington Street).
I celebri versi di Blake evocano la nostalgia per un mondo di innocenza perduto ed è sicuramente appropriato per queste opere. Con spietata chiarezza (una pittura davvero di qualità “fotografica") veniamo trasportati nelle periferie urbane inglesi. Una modestia-quasi-miseria è l'accordo emozionale che domina tutte le opere.
Ma tutta questa tristezza è mitigato dall'agrodolce sapore della memoria collettiva di una classe operaia, a suo modo, assolutamente fiera e orgogliosa. "Empire Road" (2023) oppure "Sunset with White Goods" (2024) riportano ad epoche che sembrano, dal punto della vista del sociologo, lontanissime. Vengono in mente certe atmosfere del film "Full Monty" (1997). Un viaggio intenso e struggente. Qualche anno fa, in Italia, probabilmente avremmo detto: "finalmente una cosa di sinistra". Anche se, a dire il vero, in queste opere di Shaw si intravedere la working class post-industriale virare verso orizzonti vagamente populisti. Farage è dietro l'angolo.
Non manca nella mostra una toccante nota personale: le rose del modesto giardinetto che la madre negli ultimi mesi di vita ammirava dalla finestra, confinata a letto. La faccenda comunque non è solo un delicato e floreale ricordo intimo: la rosa è storicamente il simbolo dell'Inghilterra. Anche lei consumata e (quasi) perduta.
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