Elena Meli per "Salute - Corriere della Sera"
Tutti, nel corso dell'ultimo anno, abbiamo sperimentato la solitudine più che in passato. I bambini e i ragazzi chiusi nelle loro camere a seguire le lezioni lontani dai compagni, gli anziani senza contatti con i familiari per proteggersi dal contagio, i tanti che ormai lavorano sempre o quasi da casa; per non parlare dell'isolamento di chi è risultato positivo a Sars-CoV-2 e si è ammalato con sintomi più o meno gravi. La solitudine, già compagna di vita per moltissimi, è dilagata e purtroppo si fa sentire ancora di più nelle giornate di festa: anche quest' anno la «Pasqua con chi vuoi» sarà per moltissimi una giornata in solitaria, senza pranzi con amici né gite fuoriporta.
E più che di uova di cioccolato avremo fame di abbracci e chiacchiere, almeno stando ai più recenti studi in materia: una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience e discussa durante l'ultimo congresso della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf), per esempio, ha dimostrato che il cervello di chi è solo soffre come se fossimo costretti a digiunare dal cibo.
stanza degli abbracci casa di riposo
Per scoprire gli effetti della solitudine sull'attività cerebrale alcuni volontari sono stati isolati da qualsiasi contatto umano per dieci ore e poi si sono sottoposti a una risonanza magnetica funzionale (per non falsare i risultati incontrando i ricercatori, i partecipanti sono stati addirittura istruiti per potersi accomodare da soli nel macchinario in maniera corretta); quindi, sono stati fatti digiunare per 10 ore e di nuovo analizzati con la risonanza. I risultati mostrano che l'isolamento protratto accende la substantia nigra , un'area cerebrale che si attiva allo stesso modo anche con il desiderio di cibo.
«Abbiamo un cervello sociale, che ha bisogno di contatti umani proprio come abbiamo necessità di mangiare per vivere: non si tratta di una metafora, lo provano questi dati secondo cui peraltro gli effetti dell'isolamento sono più evidenti in chi prima di ritrovarsi a lungo da solo aveva una vita piena di relazioni sociali soddisfacenti», osserva Claudio Mencacci, co-presidente Sinpf e direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano.
«Quando siamo "a digiuno" del rapporto con l'altro il cervello soffre e lo desidera disperatamente», aggiunge Matteo Balestrieri, co-presidente Sinpf e docente di psichiatria dell'Università di Brescia. «Purtroppo le regole di distanziamento sociale imposte per contenere la pandemia di Covid-19 in corso stanno aumentando la solitudine, con effetti marcati soprattutto nelle fasce d'età che per motivi diversi tendono più spesso ad allontanarsi dal resto del mondo, ovvero anziani e adolescenti».
Le regole del lockdown, pasquale e non solo, «rubano» contatto fisico e gesti d'affetto soprattutto a chi non ha i propri cari vicino: i single, ma anche i nonni lontani dai nipoti o i fidanzati non conviventi che secondo gli esperti della Società Italiana di Psichiatria (Sip) sono esposti a una «fame di abbracci» con ripercussioni consistenti sul benessere mentale. «Il contatto fisico è rassicurante perché è la modalità più arcaica, nella nostra evoluzione di specie, per farci sentire al sicuro; inoltre, il senso di appagamento che infonde provoca modificazioni neurochimiche positive come l'aumento della produzione di ossitocina, l'ormone dell'attaccamento, che ha un effetto tranquillizzante», osserva Massimo Di Giannantonio, presidente eletto Sip.
Uno studio statunitense ha rivelato che il deficit di abbracci da pandemia ha già fatto danni: il 60% degli intervistati ha riferito la carenza di contatto fisico affettuoso nei mesi scorsi e questo si è associato a un aumento dell'affaticamento, dell'ansia e dei disturbi del sonno e dell'umore. Dati confermati da un'indagine dell'università americana di Bloomington, in Indiana, secondo cui durante la prima ondata della pandemia sono cresciuti i casi di depressione, ma chi ha mantenuto elevati livelli di connessione sociale e contatto fisico non virtuali è risultato protetto da questo rischio.
Già dopo poche settimane senza stringere mani, abbracciare o fare una carezza a qualcuno a cui vogliamo bene aumentano gli ormoni dello stress e si riduce l'ossitocina: come possiamo combattere gli effetti della solitudine allora? «Le restrizioni sociali restano necessarie: in questa fase è ancora impossibile assicurare ai nostri cari non conviventi i consueti gesti d'affetto, ed è evidente che né le videochiamate né i messaggi possono sostituire l'incontro reale di due persone», ammette Di Giannantonio.
«Ci sono però accorgimenti che possiamo adottare per supplire alla carenza di contatto fisico, stimolando il tatto in altro modo: un bagno caldo per esempio ha un effetto calmante e rassicurante, toccare stoffe morbide e confortevoli come la seta o farsi un massaggio ai piedi induce sensazioni piacevoli che aiutano a stare meglio. Lo stesso vale se si sorseggia un caffè o un tè tenendo la tazza fumante in mano, meglio ancora se lo facciamo durante una videochiamata o quando pensiamo a un amico o a un nostro caro».
Se attraverso il contatto «di pelle» con materiali gradevoli o caldi proviamo piacere, infatti, si può almeno in parte ovviare alla mancanza della vicinanza reale: non a caso accarezzare un animale domestico, per chi lo possiede, è una risorsa preziosa nei momenti di solitudine e un cane o un gatto sono ritenuti «sostituti» molto validi del contatto umano. Come precisa Di Giannantonio «Il contatto fisico naturalmente va cercato e praticato quando è possibile, per esempio con i familiari conviventi».
Questo perché, come specifica Mencacci «La solitudine e la mancanza di contatti umani, oltre a renderci affamati di conversazioni, strette di mano e abbracci, ha conseguenze gravi sul benessere mentale. Un'indagine condotta su persone ultracinquantenni ha dimostrato che almeno un caso di depressione su cinque è direttamente provocato proprio dall'isolamento sociale e dalla solitudine che ne deriva. Le regole imposte per contenere l'epidemia di Covid-19 stanno perciò agendo come detonatore per il malessere psichico, che va riconosciuto, diagnosticato e curato prima che trascini i pazienti in una spirale di sofferenza».
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