Simona Ravizza per www.corriere.it
il contagiato di codogno - coronavirus
Un simbolo. Ecco cosa ci insegna sulla guarigione dal Coronavirus il «Paziente Uno», 38 anni, finito in Terapia intensiva in condizioni gravissime il 20 febbraio e da lunedì 9 marzo, dopo 18 giorni, fuori dalla Rianimazione e senza più nessun tubo per respirare. Lo spiegano al Corriere il rianimatore Francesco Mojoli e l’infettivologo Raffaele Bruno, i due primari del San Matteo di Pavia che lo stanno curando:
- Il Coronavirus può colpire in maniera molto grave anche i più giovani. Lo dimostrano le statistiche della Lombardia, la regione con più casi di contagio: sui 440 pazienti più gravi ricoverati in Terapia intensiva al 9 marzo, l’8% ha tra i 25 e i 49 anni, il 33% tra i 50 e i 64, il 37% tra i 65 e i 74, il 22% oltre i 75 anni.
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- Chi è giovane ha più armi per combattere il virus: il trattamento in Rianimazione prevede delle terapie d’urto (con cocktail di farmaci antivirali, antibiotici e, in via sperimentale, anche quelli utilizzati per curare l’Hiv) più facili da sopportare per chi non ha un fisico già debilitato.
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- Perché il trattamento vada a buon fine, deve funzionare un combinato di tre fattori: le terapie vitali (idratazione, alimentazione artificiale, ecc,); le cure con il cocktail sperimentale di farmaci; l’assenza di complicazioni successive (da evitare con profilassi anti-trombosi, accertamenti per accorgersi del sopraggiungere di sovra-infezioni batteriche ai polmoni, ecc.).
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- Un contributo notevole alle probabilità di guarire lo dà l’assenza di altre patologie: vuol dire che, oltre ai polmoni, gli altri organi funzionano bene. - In un fisico giovane è più difficile che durante le cure sopraggiungano problemi ad altri organi come al cuore, al fegato e ai reni.
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- Le condizioni critiche ma stabili sono un buon segnale: il «Paziente Uno» è dovuto rimanere in Terapia quasi tre settimane. Ciò per i medici è un segnale di come evolve il virus: il peggioramento è rapido, c’è una lunga fase di stabilizzazione, poi l’inizio del miglioramento. Mattia adesso è nel reparto di cure sub-intensive del San Matteo ed è nella fase che i medici chiamano di svezzamento, in cui cioè si sospendono via via le terapie d’urto. Il suo respiro è autonomo ed è semi-cosciente. Da Mojoli e Bruno una precisazione: «Il “Paziente Uno” è il simbolo del fatto che dal Coronavirus si può guarire anche se in condizioni gravissime – dicono –. Ma per noi tutti i pazienti sono come il “Paziente Uno”».
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