Andrea Centini per "www.fanpage.it"
turisti cinesi con la mascherina a roma 2
I primi casi accertati di COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, risalgono alla fine dello scorso anno in Cina, associati al mercato del pesce Huanan della metropoli industriale da 11 milioni di abitanti Wuhan. Ciò nonostante, secondo alcuni scienziati il patogeno sarebbe in circolazione nella popolazione umana da alcuni anni, se non addirittura da decenni.
Ciò significa che il cosiddetto “spillover”, cioè il salto di specie da animale a uomo, sarebbe avvenuto da molto tempo e non tra il 20 e il 25 novembre 2019, come suggerito da uno studio guidato da scienziati italiani del Campus BioMedico di Roma.
A sostenere l'origine remota del patogeno che sta mettendo in ginocchio il mondo intero è stato un team di ricerca internazionale guidato da uno scienziato del prestigioso The Scripps Research Institute di La Jolla, California, che ha collaborato a stretto contatto con colleghi dell'Istituto di Biologia dell'Evoluzione dell'Università di Edimburgo (Regno Unito), del Center for Infection and Immunity presso la Mailman School of Public Health dell'Università Columbia, del Marie Bashir Institute for Infectious Diseases and Biosecurity dell'Università di Sydney (Australia) e della Facoltà di Medicina dell'Università di Tulane.
Si tratta della stessa, autorevole squadra che ha smentito l'origine in laboratorio del coronavirus, le cui caratteristiche sono state rigorosamente plasmate dall'evoluzione naturale.
Proprio attraverso il sequenziamento del genoma del SARS-CoV-2, il team guidato dal professor Kristian Andersen, docente presso il Dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell'istituto californiano, è giunto alla conclusione che il coronavirus possa essere tra noi da moltissimo tempo.
Secondo gli scienziati, il patogeno presenta una mutazione unica non rilevata nei coronavirus degli animali dai quali sarebbe avvenuto il salto di specie, come i pipistrelli del genere Rhinolophus (i pipistrelli dal muso a ferro di cavallo) e i pangolini malesi, nei quali sono stati trovati patogeni molto vicini al SARS-CoV-2. Per gli autori dello studio la mutazione sarebbe emersa dopo ripetute infezioni avvenute in passato tra animali e uomo, definite dagli scienziati “a piccoli cluster” (gruppi di persone).
Replicazione dopo replicazione, il virus, che inizialmente non faceva ammalare i contagiati, avrebbe sviluppato un mutazione nella proteina (spike) che si lega alla furina, un enzima presente nel nostro organismo, trasformandolo nel “killer” che, nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva messa a punto dall'Università Johns Hopkins ha contagiato oltre 720mila persone e ne ha uccise 34mila (quasi 11mila solo in Italia).
la spesa in tempi di coronavirus 2
A sostegno dell'evoluzione “lenta” del coronavirus, dopo essere passato per piccoli gruppi di persone in un ampio lasso di tempo, vi è anche il dottor Francis Collins, direttore del National Institute of Health (NIH) degli Stati Uniti, “A seguito di cambiamenti evolutivi graduali nel corso di anni o forse decenni, il virus alla fine ha acquisito la capacità di diffondersi da uomo a uomo e ha iniziato a causare malattie gravi, spesso pericolose per la vita”, ha dichiarato lo scienziato, come riporta il South China Morning Post. I dettagli della ricerca sull'origine del coronavirus sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine.
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