Teodoro Chiarelli per “la Stampa”
Taranto, ma non solo. La crisi dell' ex Ilva è solo un tassello della più vasta crisi dell' industria siderurgica europea, che da anni soccombe sotto i colpi di maglio di produttori come Russia, Turchia e, soprattutto, Cina. E proprio alla Cina, paradossalmente, c' è chi guarda ora nel caso saltasse il banco con ArcelorMittal sullo stabilimento pugliese. Il mercato dell' acciaio è per sua natura ciclico.
Essendo un comparto tra i più energivori, soffre in maniera marcata le oscillazioni dei prezzi dei combustibili necessari a far marciare gli impianti. Ma il suo andamento è legato in maniera strettissima anche ad alcuni settori specifici del manifatturiero, in particolare l' industria automobilistica.
ALTOFORNO CREMATORIO - LA CRISI DELL'ILVA BY MANNELLI
E il dopo Dieselgate e le nuove sensibilità ambientaliste non si può dire che stiano facendo vivere un buon periodo all' industria delle quattroruote. Il problema ormai strutturale della siderurgia europea è la difficoltà nel competere con l' acciaio a basso prezzo proveniente dalla Cina, che smaltisce sotto costo sui mercati esteri la produzione in eccesso. Il dumping di Pechino è tra i fattori che nel 2018 hanno portato le importazioni di acciaio in Europa a crescere del 12% a fronte di un mercato che saliva di appena il 3,3%.
La produzione complessiva di Pechino ha raggiunto i massimi storici, con un aumento del 2,2% nei primi nove mesi del 2019: nello stesso periodo ArcelorMittal - il gigante anglo-indiano che ora vorrebbe abbandonare l' ex Ilva - ha perso il 18% del suo valore in Borsa e ha tagliato la produzione in tutta Europa. La fusione tra la tedesca Thyssenkrupp e l' indiana Tata è fallita per l' opposizione della Commissione europea. Nel Regno Unito il terzo produttore nazionale, la British Steel, ha dichiarato bancarotta.
Un mix di rallentamento del ciclo economico e dell' imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti verso la Cina ha comportato l' afflusso di prodotti cinesi a basso costo verso l' Europa che non si è protetta dalla concorrenza asiatica. Su una produzione mondiale di 1 miliardo e 808 milioni di tonnellate l' anno, 168 milioni sono prodotte in Europa, contro 928 milioni realizzate in Cina (il 50% della produzione mondiale), mentre gli Stati Uniti producono solo 75-80 milioni di tonnellate l' anno.
ArcelorMittal è il colosso più grande del pianeta, con 96,4 tonnellate prodotte ogni anno, ma ai primi posti si piazzano comunque i cinesi: al secondo (Baowu Steel, con 67,4 milioni di tonnellate), quarto, sesto, settimo, nono, decimo posto della classifica mondiale ritroviamo infatti tutte aziende del Dragone. Però è stata avviata una maxifusione tra Baowu Steel e Magang Steel: un' unione tra società statali, nata con l' intento di «rafforzare la competitività internazionale».
Probabilmente già oggi supera il colosso franco indiano. La Via della Seta rischia di diventare la nuova Via dell' Acciaio. I piani di espansione cinesi procedono spediti e mirati. Con un investimento di 46 milioni di euro, Hebei Iron and Steel (Hbis), secondo player cinese, ha rilevato in Serbia l' acciaieria Smederevo, la più grande del Paese, con la firma maturata durante la visita a Belgrado nel giugno 2016 del presidente Xi Jinping. La stessa Hbis ha acquisito dalla famiglia italiana Bolfo nel 2014 la Duferco Trading, primo trader europeo dell' acciaio basato in Svizzera.
Nel Regno Unito il terzo produttore nazionale, la British Steel, ha dichiarato bancarotta. E ieri il gruppo cinese Jingye ha raggiunto un accordo per acquisire il produttore siderurgico britannico. Secondo la Bbc, l' importo dell' acquisto sarebbe di 70 milioni di sterline (81,2 milioni di euro) e il governo britannico dovrebbe contribuire al salvataggio attraverso garanzie sui prestiti e altri finanziamenti.
Dalla Cina un pericolo o anche un' opportunità? «Se le aziende cinesi, indiane o russe che siano, vengono e rispettano le regole e il mercato non ci sono problemi - commenta con pragmatismo Alessandro Banzato, presidente di Federacciai - La siderurgia ha una natura fortemente globalizzata ed è fisiologico che chi annovera 6 fra i primi 10 produttori al mondo stia incominciando a realizzare una crescita fuori dai propri confini e quindi anche in Europa».
Ecco quindi che nell' ipotesi di un abbandono definitivo da parte di ArcelorMittal, un possibile intervento cinese sull' ex Ilva diventa qualcosa di più di una suggestione. Mercoledì il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, parlando a Shanghai, ha riferito che «c' è anche un grande interesse su Taranto, che ci è stato manifestato, e che porterà ad alcune iniziative sugli investimenti». Il passaggio chiave potrebbe essere una soluzione integrata che includa anche il nodo infrastrutturale dell' aerea ionica.
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