Manuel Follis per “MF”
In arrivo l'opa su Telecom Italia, ecco l'opa, Cdp farà l'opa, sempre più vicina l'opa su Tim. Cambia la forma ma il concetto resta identico, ed è evidente che il circolare insistente di un'indiscrezione l'abbia resa altamente credibile per il mercato, che adesso ha puntato i fari e aspetta con trepidazione i primi incontri ufficiali tra governo e Cassa Depositi e Prestiti.
I movimenti negli ultimi giorni sono stati violenti, il volume di scambio si è alzato e il titolo Tim anche ieri ha fatto registrare una fiammata, l'ennesima, chiudendo in rialzo addirittura del 10,65% a 0,2431 euro. Dal 12 ottobre, ossia dal minimo storico a 0,1713 euro il guadagno ora è arrivato al 42% e la capitalizzazione è tornata vicina a 5,2 miliardi (dopo essere scesa sotto 4 miliardi).
Movimenti di quelli così bruschi che in passato hanno scomodato persino la Consob, il cui faro, se è stato acceso, sta vigilando in silenzio. La miccia è stata innescata ancora una volta dalla politica. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio con deleghe all'innovazione digitale, Alessio Butti, ha spiegato a Skytg24 che intende incontrare i diversi stakeholder, a partire dai vertici di Cdp, per definire il percorso migliore per arrivare a una rete unica a controllo statale.
DARIO SCANNAPIECO GIOVANNI GORNO TEMPINI
La parola opa non è stata nemmeno citata, ma tanto è bastato per accendere il fuoco della speculazione. La citazione va al progetto Minerva, che prevedeva un'offerta di Cdp su Tim e la successiva dismissione di alcuni asset. Che in assoluto un'operazione simile possa avere un senso lo dimostra il fatto che altri grandi fondi di private equity (come ad esempio Cvc) hanno considerato scenari simili.
La differenza è che allo stato attuale Cdp non può portare a termine un'operazione del genere da sola e chi lo sostiene o non conosce i numeri della Cassa o è in malafede. La Cdp ereditata da Dario Scannapieco era in sostanza una società con patrimonio immenso, ma con poca cassa.
Il free capital di Cdp nell'estate del 2018 era di 4,5 miliardi, diventati 300 milioni nel giugno 2021. L'attuale board ha gestito (probabilmente non a caso) operazioni di exit da precedenti investimenti, per circa 750 milioni e riportato il pay out dividend nell'alveo di quanto previsto dallo statuto, intorno al 50% rispetto all'80-100% della gestione precedente.
Insomma, il free capital è stato in parte ricostituito, ma resta intorno a 1 miliardo con alcune controllate (il primo pensiero va ad Ansaldo) che potrebbero presto richiedere iniezioni di capitale, come è stato per Saipem. Non solo, ma rilevare Tim non è tanto o comunque non è solo un problema di equity, ma di enterprise value.
L'acquisizione di Telecom comporta l'accollo di 26 miliardi di debiti e Cdp resta una società soggetta alla vigilanza di Bankitalia. Un aumento di capitale di Cdp? Per carità, tutto è possibile, ma cosa farebbero le fondazioni che al momento possiedono quasi il 16%? Senza contare il rischio che l'Europa apra un dossier e finisca per chiedere di sommare il debito Cdp a quello pubblico. Comunque la si giri, se davvero il governo vorrà fare della Cassa il perno di una rete tlc pubblica dovrà per forza trovare alleati, che in Open Fiber ci sono già (il fondo Macquarie). La stessa Vivendi (principale azionista con il 24% di Tim) si è già candidata a dialogare col governo. Insomma, la volontà è chiara, il fine condivisibile, ma la strada per arrivare al sacro Graal della rete unica sarà probabilmente in salita.
PIETRO LABRIOLA pietro labriola dario scannapieco