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“Deflazione e libertà” è il titolo di un noto testo pubblicato nel 2008 dall'economista di Scuola Austriaca Jorg Guido Hulsmann (Deflation & Liberty, Ludwig Von Mises Institute, 2008, ISBN 978-1-933550-35-0) che ha trattato e previsto con largo anticipo il fenomeno monetario che sta stressando i governanti di tutto il mondo. A dir la verità Hulsmann è solo uno degli ultimi a trattare il tema che la Scuola Austriaca ha brillantemente descritto nel corso dei suoi oltre 100 anni di storia.
Gli articoli dei principali quotidiani sono pieni di titoloni che cercano di descrivere lo “spettro della deflazione”, attribuendo alla stessa le più nere aspettative sulla ripresa economica. Possiamo affermare con certezza che è vero esattamente il contrario. Per spiegare l'affermazione è necessario fare un po' di ordine semantico e dire che per la Scuola Austriaca l'inflazione non è l'aumento dei prezzi, ma l'aumento dell'offerta di moneta (M0, per i più esperti) effettuata dalla banca centrale.
Quando l'aumentata quantità di moneta, attraverso il sistema bancario privato, scivola nell'economia, allora i prezzi salgono. La cosa è facilmente intuitiva: se aumenta il numerario, la quantità di moneta, il suo valore, il potere d'acquisto, scende e l'effetto è l'aumento dei prezzi. Questo è ciò che fa una banca centrale ogni volta che mette in atto politiche monetarie espansive. I prezzi quindi, in un economia di libero mercato, salgono soprattutto per le modifiche del sistema di misura degli stessi, la moneta.
Allo stesso modo la deflazione può essere definita come la diminuzione dell'offerta di moneta (sempre M0, la base monetaria) da parte della banca centrale. Quando la moneta esce dal sistema economico il suo valore relativo, il potere d'acquisto, aumenta, determinando la discesa dei prezzi dei beni di consumo (ma anche degli immobili e degli investimenti finanziari).
Perché oggi le principali economie si trovano in una situazione di quasi deflazione? Anche qui la Scuola Austriaca di economia è l'unica in grado di rappresentare una interpretazione coerente e verificabile. La crisi, che cronologicamente non è iniziata nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers ma molto prima e cioè nel marzo del 2007 con il fallimento di Northern Rock (e per qualcuno nel 1998 con il fallimento del fondo hedge Long Term Capital Management), è il risultato delle politiche espansive (inflattive sulla moneta) portate avanti dalle banche centrali da almeno 40 anni ed in particolare dalla fine del Gold Standard nell'agosto del 1971.
La necessità di finanziare il crescente debito USA per affrontare gli enormi costi della guerra del Vietnam portarono Nixon a sganciare il Dollaro USA dalla copertura aurea fissato a Bretton Woods. Da allora le banche centrali di tutto il mondo in accordo con le esigenze della politica inflazionano la moneta al fine di ottenere il finanziamento dei crescenti debiti pubblici attraverso il sistema bancario privato in un accordo perverso e mostruoso che ha inondato il mondo con insostenibili debiti pubblici e privati.
Oggi siamo in una situazione apparentemente paradossale ma facilmente spiegabile. Esiste una enorme inflazione monetaria (aumento dell'offerta di moneta) collocata tra le banche centrali ed il sistema bancario privato, grazie ai vari programmi di stimolo monetario in USA (TARP, TALF, Twist, QE), in Giappone (QE), in Gran Bretagna (QE) ed in Europa (LTRO 1 e 2 e recentemente TLTRO).
Questa inflazione monetaria sta gonfiando i bilanci delle banche centrali (ricordiamo che la moneta è debito emesso dalla banca centrale) e delle banche private, che reinvestono la nuova liquidità ricevuta dalle banche centrali in titoli di stato, che a differenza degli investimenti in attività del sistema economico (le imprese) oramai non presentano rischi di perdita per le banche stesse (il default de facto della Grecia, negato anche dagli organi di controllo di mercato ne è la testimonianza).
Per il motivo descritto, questa enorme quantità di nuova moneta non entra nell'economia, che invece assiste ad una fase deflattiva, che determina la discesa dei prezzi dei beni di consumo e dei prezzi degli immobili. Nonostante i tentativi delle autorità monetarie la nuova moneta non entrerà mai nella cd economia reale perché per le banche è molto meno rischioso investire in titoli di stato a rendimento certo oramai privo di rischio (perché nessun default pubblico in un'economia di grandi dimensioni verrà mai accettato).
La deflazione quindi non è il risultato di minori consumi ma della nulla attitudine al rischio delle banche private che sanno che i rischi di mercato non sono remunerati congruamente. Perché questo avvenga è necessario che il rendimento delle attività a rischio aumenti, per incentivare l'investimento nelle attività stesse. Purtroppo le banche centrali hanno portato i rendimenti prossimi allo zero alterando tutta la struttura dei rendimenti dell'economia. Una rapida e profonda deflazione è l'unica possibilità per vedere tali rendimenti risalire. Per tornare a livelli tali da remunerare il rischio dell'investimento.
Finché questo non avverrà non ci saranno nuovi investimenti né da parte del sistema bancario né da parte degli imprenditori. E' vero, la deflazione determina il fallimento di tutte quelle attività economiche marginali, che si sono tenute in piedi grazie al credito facile degli ultimi 40 anni. Quando i prezzi dei beni di consumo scendono infatti i margini aziendali si comprimono, ma le imprese che non ce la fanno sono quelle con strutture di bilancio esasperatamente indebitate, mentre le aziende più efficienti non sono penalizzate da questi movimenti al ribasso.
Ci sarà un momento in cui i consumatori giudicheranno i prezzi di mercato congrui ed arresteranno il processo di discesa degli stessi tornando ad acquistare. Se però le aziende inefficienti (e gli stati) non vengono fatte fallire, fallisce tutto il sistema.