DAGONEWS
C'è un punto del decreto legge dell'8 aprile 2020, quello che stabilisce la garanzia pubblica della SACE per i finanziamenti alle aziende messe in difficoltà dal coronavirus, che sta facendo scervellare manager e avvocati d'affari. Non è la questione FCA, o meglio, non riguarda solo FCA.
L'articolo 1, comma 2, lettera i, recita:
L'impresa che beneficia della garanzia assume l'impegno che essa, nonche' ogni altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo cui la prima appartiene, non approvi la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020;
giuseppe conte roberto gualtieri mes
La stessa norma viene ripresa dalla circolare che l'Abi, l'associazione delle banche italiane, ha scritto insieme a SACE per precisare i criteri e le condizioni che gli istituti dovranno verificare prima di concedere questi finanziamenti. Chi fa domanda deve presentare l'attestazione ''circa il fatto che né l’impresa richiedente, né ogni altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo cui la stessa appartiene, ha approvato la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni proprie a decorrere dal 9 aprile 2020 e si impegna a non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni proprie nel corso del 2020''. (Paragrafo 5.1)
La domanda che si fanno molti manager che vorrebbero chiedere il finanziamento è: che vuol dire avere la sede in Italia? Un azionista straniero che ha il controllo o la partecipazione in un'azienda italiana, può continuare a distribuire dividendi e a comprare azioni proprie in un paese diverso dall'Italia? E ciò non lo metterebbe in una condizione di vantaggio rispetto a quelle aziende italiane al 100%?
Il decreto legge è vago, e può essere interpretato in senso restrittivo (sede = sede legale, che è solo una e può essere all'estero) oppure estensivo (sede = filiale, succursale). Nel primo caso, da FCA che ha la sede legale in Olanda, a Msc Crociere, che ha la base in Svizzera, questi grandi gruppi possono chiedere fondi per le loro attività italiane, lasciando liberi le società con base all'estero di fare quello che vogliono con dividendi e azioni proprie. Nel secondo caso, anche la holding/casa madre viene ricompresa tra le aziende ''con sede in Italia'', così vincolando anche gli azionisti a monte della catena al divieto previsto dal decreto.
Certo, non sarebbe facile né controllare né sanzionare le mosse di azionisti che hanno la loro sede in un paese straniero, ma sicuramente sarebbe equo: metterebbe tutte le aziende che operano in Italia sullo stesso piano.
Il tema non è affatto secondario. Nel libero mercato ognuno stabilisce i propri domicili fiscale e legale dove più gli conviene, tanto che il dumping fiscale è uno degli sport preferiti di certi ''cugini'' europei. Ma quando un'azienda esce dal libero mercato e bussa alla porta dello Stato, a quel punto i governi possono stabilire i requisiti e gli obblighi per concedere l'aiuto pubblico.
Si tratta di decine di miliardi garantiti dalle tasse degli italiani, mica bruscolini. E il principio, come ha detto giustamente Carlo Calenda, è semplice: il governo ha interesse a tutelare i posti di lavoro e le filiere in Italia, mentre non dovrebbe avere interesse a tutelare il diritto degli azionisti a incassare ricchi dividendi, per giunta all'estero e dunque non tassati dal fisco italiano.
E attenzione: il vantaggio di garantire a una propria controllata un finanziamento a tasso stracciato e con garanzia statale è enorme. Molte di queste aziende dovrebbero ricapitalizzare le loro filiali italiane con i fondi che hanno in cassa, oppure finanziarsi sul mercato, dove dovrebbero garantire tassi da urlo sia alle banche, sia in caso di emissione obbligazionaria. Invece grazie al sistema SACE (giusto e dovuto, vista l'emergenza), si tengono le riserve in cassa e finanziano con tassi ultra-convenienti la ripartenza.
Il socio di uno dei principali studi internazionali in Italia ha spiegato a Dagospia che la norma italiana sembra scritta apposta per privilegiare l'interpretazione restrittiva, e dunque favorire chi ha una controllante straniera. Scriverla in modo diverso non sarebbe stato difficile, ma probabilmente sarebbe stato impossibile l'enforcement, cioè inseguire azionisti con base in Lussemburgo, Olanda, Montecarlo, o altri paradisi e paradisini fiscali, per bloccare la distribuzione di dividendi o lo share buyback.
FCA ha già annunciato che non distribuirà il dividendo ordinario nel 2020, ma sappiamo che lì il problema principale è quello straordinario, da 5,5 miliardi, che sarà versato nel 2021 ed è alla base dei concambi e del buon fine della fusione con PSA. Pare che anche EssilorLuxottica voglia chiedere l'aiuto della SACE, di sicuro sappiamo che il 20 aprile scorso il dividendo 2020 è stato cancellato, lasciando così mani libere a Del Vecchio.
Ma che ne sarà delle altre società con casa madre all'estero? O con fondi internazionali nell'azionariato? Perché un imprenditore italiano ''patriottico'' che ha tenuto tutta la catena societaria in Italia ha la mordacchia sui conti, mentre un altro più furbo che ha portato all'estero la holding per pagare meno tasse o avere più voti in assemblea a parità di azioni (bello, il libero mercato), può disporre dei suoi soldi come meglio crede, e sulle spalle del debito pubblico italiano?
Ancora una volta, il governo si dà la zappa sui piedi e incoraggia le aziende a darsela a gambe: così alla prossima emergenza potranno citofonare a Pantalone e intascare cedole senza problemi…