Estratto dell’articolo di Giorgio Chigi per “l’Espresso”
Una neverending story densa di rebus e colpi di scena. È la partita per il decollo della rete digitale in Italia, che si gioca intorno al destino degli asset di Telecom, da mesi al centro delle cronache finanziarie.
Prossimo appuntamento: mercoledì 25 gennaio, con tutti i protagonisti coinvolti convocati al Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) dal titolare Adolfo Urso, che assieme a Palazzo Chigi gestisce il dossier.
[…] A complicare e non di poco la situazione è l’azionariato di Telecom. Da giugno 2015 azionista principale è il gruppo francese quotato Vivendi del finanziere Vincent Bolloré, che di recente ha passato il timone ai figli Cyrille e Yannick.
A seguire il dossier hanno messo il loro uomo di punta: Arnaud de Puyfontaine, che di Vivendi è l’amministratore delegato. […]
Qualche cifra: Vivendi entrò in Telecom [nel 2015 con il titolo (quotato in borsa) a 1,16 euro; nei mesi successivi altri acquisti, sino ad arrivare al 24% circa del capitale. Spesa complessiva: 3,9 miliardi, con un valore di carico medio a 1,07 euro. […]
cyrill vincent e yannick bollore
Capitalizzazione attuale di Telecom (ordinarie più risparmio): 3,95 miliardi. La quota di Vivendi vale oggi 950 milioni, con una perdita rispetto all’investimento iniziale di tre miliardi. Nel frattempo già due le svalutazioni a bilancio, con un valore di carico attuale a 2,3 miliardi (e una ulteriore minusvalenza potenziale di 1,4 miliardi).
Questa analisi sui conti di Vivendi spiega i colpi di scena dell’ultima settimana. Se il 23 dicembre scorso de Puyfontaine sottolineava come sulla Rete «il clima è sereno per considerare altri investimenti di Vivendi in Italia», la mattina di lunedì 16 gennaio a mezzo stampa sbatteva la porta e lasciava il board di Telecom, creando una situazione insolita, nessun rappresentante diretto di Vivendi nel consiglio. Perché? Tutto ruota intorno alle modalità di creazione della Rete Nazionale.
[…] Il disegno che nel corso delle riunioni al Mimit ha iniziato a delinearsi come il più coerente è quello di una offerta di Cdp, magari accompagnata da fondi come Macquaire e Kkr (quest’ultimo già presente in Fibercop, controllata Telecom) direttamente a Telecom, per rilevarne la Rete. Il vantaggio: le risorse affluirebbero direttamente a Telecom, e sarebbero quindi destinate a ridurne il debito, salvaguardando la forza lavoro (a rischio sono molti dei 40 mila dipendenti), e con beneficio per tutti gli azionisti.
Vivendi, a seguire la stessa Cdp con il 9% (entrata nel 2018), migliaia di piccoli azionisti e fondi comuni. A de Puyfontaine questo schema non sta bene. Per i francesi meglio una scissione, una divisione in due di Telecom: una società di servizi (ServCo) e una di Rete (NetCo). Con i soci attuali di Telecom riprodotti in fotocopia nelle due società.
Perché? Semplice: a quel punto l’offerta di Cdp&Co dovrebbe essere non a Telecom, ma a Vivendi stessa, per rilevarne il 24% della quota nella NetCo. Con il risultato che ingenti risorse entrerebbero direttamente a Vivendi. Tutto a scapito dell’intera filiera italiana del valore della Rete. Questo l’oggetto del contendere.
Per questo de Puyfontaine ha lasciato il cda, quando ha capito che dopo i primi approfondimenti il nuovo governo aveva perce- zione della validità anche etica di una of- ferta direttamente a Telecom. Per di più, la scissione richiederebbe non meno di 12- 14 mesi.
Ma soprattutto si è dimesso perché se, come non è escluso, alla fine l’offerta arrivasse (a Telecom), si sarebbe trovato nell’imbarazzo di vedere magari la maggioranza dei consiglieri guardare con favore al progetto, magari così consigliati dagli advisor. Il ruolo degli advisor finanziari, infatti, è cruciale per operazioni del genere, e il giudizio non potrebbe essere disatteso dal board. […]