UN ALGORITMO SCONFIGGERÀ L’ALZHEIMER - UN GRUPPO DI RICERCATORI DEL CNR È RIUSCITO A CHIARIRE I MECCANISMI ALLA BASE DELLO SVILUPPO INIZIALE DELLA MALATTIA, USANDO MODELLI DI ALGORITMI D' INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE SIMULANO ALCUNE FUNZIONI DEL CERVELLO – PARTENDO DAL MALFUNZIONAMENTO DELLA DOPAMINA, UN NEUROMODULATORE IMPORTANTE PER L'APPRENDIMENTO E LA PRONTEZZA DELLE RISPOSTE, GLI STUDIOSI HANNO…
Paolo Travisi per “il Messaggero”
L' intelligenza artificiale per decifrare i processi patologici che portano allo sviluppo di malattie del cervello, come il morbo di Parkinson e l' Alzheimer. Un gruppo di ricercatori dell' Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, è riuscito a chiarire i meccanismi alla base dello sviluppo iniziale della più comune causa di demenza, l' Alzheimer, usando modelli di algoritmi d' intelligenza artificiale che simulano alcune funzioni del cervello umano. Ne abbiamo parlato con Daniele Caligiore, che coordina insieme a Massimo Silvetti il Computational and Translational Neuroscience Laboratory, team di ricerca che, attraverso l' IA, studia il comportamento del cervello.
Cosa può rivelarci l' IA del nostro cervello?
«L' intelligenza artificiale può essere usata in due modi per studiare il cervello. Il metodo bottom-up, che parte da dati acquisiti, come le informazioni cliniche in caso di patologie, affidate agli algoritmi di machine learning per cercare correlazioni statistiche e sviluppare ipotesi. Il secondo modo, top-down, invece, parte da una teoria scientifica, che attraverso i dati raccolti e usati dagli algoritmi permette lo sviluppo di modelli, quindi di verificare ipotesi. A differenza dei metodi empirici, che si focalizzano solo su specifiche aree, l' IA funge da collettore tra diverse aree e permette di studiare le dinamiche di un intero sistema».
Come nasce il progetto di applicare l' IA alla ricerca sull' Alzheimer?
«Da qualche anno abbiamo creato un laboratorio su malattie degenerative, Parkinson, Alzheimer, ma anche patologie come la depressione. Ci siamo imbattuti in uno studio molto interessante sulla dopamina, realizzato dal Campus Bio-Medico di Roma, così è nato un lavoro sinergico. Abbiamo messo insieme i dati del Campus, che ha studiato un' area del cervello di solito non abbinata all' Alzheimer, con altri studi, come quelli relativi ad anziani con difficoltà a ricordare, per arrivare a validare le nostre ipotesi».
Come siete arrivati a individuare la fase iniziale in cui si sviluppa la malattia?
«Recentemente è stato scoperto che un malfunzionamento della dopamina, un neuromodulatore importante per l' apprendimento e la prontezza delle risposte, potrebbe essere correlato allo sviluppo dell' Alzheimer. Un secondo filone scientifico considera un altro neuromodulatore, la noradrenalina, legato alla stessa patologia. Collegando queste due ipotesi con altri dati riguardanti l' interazione di alcune aree del cervello, che riguardano anche la memoria e la parte motoria, abbiamo applicato il metodo top-down per sviluppare un modello matematico che ha simulato le diverse zone.
Così abbiamo implementato questo malfunzionamento nei modelli d' IA, partendo dall' ipotesi che coinvolga diverse aree cerebrali, un sistema, e abbiamo visto che al malfunzionamento della dopamina in un modello corrispondeva l' aumento della noradrenalina in un altro, un meccanismo compensatorio. Ciò significa che allo stadio iniziale della malattia, il comportamento del soggetto simulato è uguale a quello sano, quindi all' apparenza nessun cambiamento, fin quando i valori non aumentano al punto tale che entrambi i modelli sono compromessi, e si comportano come un cervello malato. È come se l' IA avesse fotografato l' inizio della malattia».
Oggi l' IA è applicata in molti ambiti. Siamo a un punto di svolta rispetto a 10 anni fa?
«Ci sono tre motivi per cui l' IA non è solo una moda nella ricerca, partendo dalla potenza computazionale di processori, che dieci anni fa non ci avrebbero permesso d' inviare una simulazione molto pesante, usando un semplice smartphone che, attraverso un server remoto, passa i dati a un supercomputer che svolge la simulazione vera e propria.
Oggi esistono quantità enormi di dati, a cui dare un senso attraverso l' IA, infine in rete esistono molte library dove selezionare fonti per fare calcoli e sviluppare algoritmi. Nei prossimi anni l' IA sarà applicata in studi sulla letteratura, filosofia, psicologia, anni fa avulsi da questa tecnologia, che consentiranno soluzioni creative».
Qual è l' obiettivo più ambizioso dell' IA?
«Il limite principale dell' IA è l' interfaccia con la sfera delle emozioni. Usarla con sistemi che ci consentano di comprendere lo stato d' animo delle persone, con particolare attenzione a quelle malate o anziane, partendo dai modi di comunicazioni non visibili del nostro corpo, come la temperatura, il battito cardiaco o altri segnali, sarebbe un obiettivo ambizioso».
Secondo una recente analisi, l' Italia è al 13° posto in Europa per sviluppo dell' IA. C' è una carenza di professionisti del settore?
«Oggi esistono molti validi istituti che fanno formazione, ma il limite è nell' interdisciplinarietà.
Tre anni fa abbiamo fondato una scuola, Advanced School in Artificial Intelligence, organizzata col supporto del Cnr, che si rivolge a laureati di ogni facoltà, dall' ingegnere all' umanista; credo che questa sia una peculiarità fondamentale per lo sviluppo di una cultura sull' IA».
Elon Musk con Neuralink sta progettando chip da impiantare nel cervello. Fantascienza o possibile?
«Già alcuni anni fa un gruppo romano dell' Istituto Superiore di Sanità ha realizzato un chip che ha sostituito il cervelletto dei topi, responsabile della parte motoria. Credo che sarà possibile rimpiazzare quelle parti del cervello che non funzionano, per esempio quella usata per la memoria».
Papa Francesco ha detto che l' IA può rendere il mondo migliore se unita al bene comune. Come evitare che diventi un mondo peggiore?
«Il rischio maggiore è subire la tecnologia. Conoscere è potere diceva Francis Bacon, quindi bisogna conoscere l' IA per potersi difendere, già dalla scuola si deve insegnare educazione digitale, perché in futuro sarà in tutti i lavori, e non si potrà farne a meno».
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