NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO – IL LIBRO DEL NEUROLOGO ROSARIO SORRENTINO SUGLI ATTACCHI DI PANICO: NON BASTA LA PSICANALISI, CI VOGLIONO I FARMACI. È UNA MALATTIA COME L’ULCERA E IL DIABETE – LA PAURA DELLA PAURA CHE FA SPROFONDARE NELL’ABISSO MIGLIAIA DI PERSONE RACCONTATA ATTRAVERSO LA STORIA DI LAURA. DONNA IN CARRIERA, CAPARBIA E SPIETATA CHE A UN CERTO PUNTO…
Marco Ventura per “il Messaggero”
Ci voleva un romanzo. Non c' era altro modo, per Rosario Sorrentino, se non l' impatto evocativo di una storia con tutti i crismi di una drammatica e quasi quotidiana verità, per far passare il messaggio che contro gli attacchi di panico non basta la psicanalisi, ci vogliono gli psicofarmaci.
Visitare e curare ogni giorno pazienti di tutte le età non gli bastava. Neppure andare in televisione a spiegare che cosa sono e come si combattono le bugie del cervello, quei terribili lunghi attimi di bambola tipo la crisi improvvisa dei ciclisti, che ti prende per la paura di avere paura e da un giorno all' altro piega le personalità più solide e le rende d' un tratto impotenti, incapaci di stare serenamente tra la folla o parlare in pubblico o anche solo camminare per strada, non in grado di guidare l' auto, lavorare, viaggiare.
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LA DIVULGAZIONE
Sorrentino, neurologo di fama esperto di attacchi di panico, appassionato divulgatore del ricorso ai farmaci contro quella che per alcuni non è neppure una vera malattia, che per lui è invece nient' altro che una patologia come tante altre, come l' ulcera o il diabete, da trattare con i farmaci e l' eventuale supporto della psicoterapia, deve aver pensato che doveva scrivere un romanzo per esprimere (e divulgare) la profondità dell' abisso in cui può gettare la paura della paura. Paura che si estende alla resistenza dei pazienti all' impiego di psicofarmaci.
Il malato appanicato deve anzitutto riconoscere di esserlo, malato, poi che per uscire dal tunnel e liberarsi della bestia che lo possiede non può affidarsi solo agli strizzacervelli. Deve ingurgitare le pillole, o le goccine diluite in acqua che possono restituirgli, chimicamente certo, la calma per poter meglio affrontare la prova di quello che per tanti è solo la normalità ma per chi è affetto da patologie come l' agorafobia diventa una prova, una sfida continua: il ritrovarsi gettati nel mezzo della calca, oppure diversamente imbottigliati, chiusi nell' asfissiante claustrofoba cabina di un aereo. E insomma, ci voleva una storia.
Così vera da sembrare un estratto dei suoi diari di neurologo. Costruita con personaggi, trama, un intrigo e un esito completamente deformati dal filo conduttore del panico e dei suoi attacchi.
Laura, la protagonista di Attacco di panico. A un passo dalla libertà (Mondadori) è la tipica donna in carriera, caparbia al limite della cattiveria. Lei stessa racconta che con alcuni colleghi era stata spietata, si era accanita con ogni mezzo al punto che uno, per causa sua, era stato prima messo da parte, poi licenziato. Non guardava in faccia nessuno. Colpiva prima di essere colpita.
LO SGOMENTO
Eppure ragiona all' imperfetto nelle prime pagine di questo romanzo, perché il presente è lo sbandamento assoluto, lo sfinimento e sgomento che segue l' attacco di panico. Qualcosa che lei, Laura, non capisce quando arriva. Anche perché passa un periodo felice della vita, rinata dopo la fine dolorosissima del matrimonio, pronta a comprare casa nuova per fare una vita più libera. Invece ecco l' agguato.
La bestia la ghermisce da dentro, spietata più di lei, più subdola, più falsa. Laura nelle prime pagine del romanzo dice di respirare ancora a fatica, il cuore le scoppia nel petto, i battiti le rimbombano in gola, nelle orecchie, in ogni centimetro di pelle. Non riesce più a deglutire, continua a tossire perché le sembra di soffocare, si contorce come un' anguilla per liberarsi di qualcosa che avverte in gola e non va né su né giù, sta lì e lì rimane. Ma è solo l' inizio. Il resto è una corsa disperata.
Laura si sente, ed è, succube di una parte di sé che non conosceva e che si divertiva a proiettare nella sua mente un film, un incubo di cui lei era protagonista assoluta. Un incubo a occhi aperti. Falso ma vero. Al pronto soccorso Laura incontra Riccardo, un musicista, anche a lui è successo, dopo una canna (altra provocazione di Sorrentino): stava suonando in un locale gremito di gente quando ha sentito un peso e fitte al petto, la bocca che gli si storceva, e non riusciva più a parlare, nemmeno a respirare.
L' AUTOMOBILE
Nel romanzo accade che Riccardo si innamora di Laura. Prigioniera di se stessa, o di quella parte di lei che si è impadronita del suo corpo, Laura per paura di un nuovo attacco abbandona casa e lavoro e dorme nell' automobile per stare vicina al Pronto Soccorso. Un ricovero permanente auto-inflitto dalla paura. Il resto è intreccio. Laura finisce nel mirino di trafficanti di organi, e resiste ai tentativi di salvarla della sua migliore amica, Daniela. Finché incontra il Medico. L' alter ego di Sorrentino, che descrive la difficoltà di convincere i pazienti a prendere le medicine.
LA FIDUCIA
Ora mi ascolti, le intima. So bene quello che prova, la sua sofferenza, ma deve fidarsi, anche se non è facile. La capisco. Inizieremo la cura con una piccola dose di farmaci. No no, insorge lei. Voi medici siete tutti uguali non sapete far altro che prescrivere farmaci, farmaci! Appena compare il primo sintomo e noi a fare le cavie». È dura accettare. Una lotta corpo a corpo. Ma il gusto di amaro e la bocca asciutta, senza saliva che lasciano le gocce, alla fine ha un sentore dolce. Perché è la cura giusta. Provocazione romanzesca, che doma la bestia ma farà sicuramente imbestialire, e storcere, tanti psicologi.
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