1. DA ‘SKY CALCIO SHOW’ AL ‘NAPO PICTURE SHOW’! ILARIONA D’AMICO OFFICIA IL RITO DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO-CONVERSAZIONE (“IO LO CHIAMO CINEMATOGRAFO”) DI FRANCESCO ROSI CON PEPPUCCIO TORNATORE ED EU-GENIO SCALFARI DAVANTI A KING GEORGE. E AD UNA PLATEA CHE OFFRE UN PIANO SEQUENZA DI COLPI “SOTTO LA TINTURA” 2. A DESTRA VITTORIO CECCHI GORI CON LE CHIOME MISSIONE ARCOBALENO FA SCOPA CON LIFTATISSIMA SANDRA VERUSIO, A SINISTRA MICHELE PLACIDO CON SCOPPOLA STILE “MONELLO”, AL CENTRO MARIA STREGA GELMINI SORRIDENTE STILE NOTTE DEI TELEGATTI 3. PAOLO VILLAGGIO IN GIACCA ARAGOSTA SI SISTEMA CON ENNIO MORRICONE MENTRE EDOARDO VIANELLO CI RISPARMIA LE PINNE, IL FUCILE E GLI OCCHIALI, MA NON I LACCI FUCSIA 4. ALLA FINE DELLA PRESENTAZIONE FITTO LANCIO DI LIBRETTI DELLA PENSIONE E PANNOLONI

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
Francesco Persili per Dagospia

«Ho molta fiducia in Monti e Napolitano». Serve sempre avere un regista per amico, se poi si chiama Francesco Rosi e, attraverso il suo cinema, ha raccontato la storia d'Italia, tanto meglio. L'allievo di Luchino Visconti ha appena finito di dire a Dagospia che vede un Paese «tormentato, in preda alle difficoltà politiche ed economiche», e degli italiani - brava gente, of course - in possesso di «grandi difetti ma anche della virtù di amare la propria terra», quando nel foyer del Quirino irrompe Ilaria D'Amico in panta nero e tacco 12.

«Buonasera, signori», ed è subito talk. Dalle battute da spogliatoio con Mauro, Porrà, Marchegiani, Di Marzio e gli altri compagni di viaggio di ogni maledetta domenica, al deferente inchino al maestro Scalfari che la saluta con quel misto di eleganza e affettazione che nemmeno al caffè Rosati di via Veneto, sotto lo sguardo sornione di Pirani, di un divertito Zavoli e dell'ex inquilino di casa Rosi, Furio Colombo.

Da Sky calcio show al The Napo Picture Show, la più amata dai pallonari officia il rito della presentazione del libro-conversazione («Io lo chiamo cinematografo») di Francesco Rosi con Peppuccio Tornatore, davanti a re Giorgio. E ad una platea che offre un piano sequenza di incontri, ritorni e colpi sotto la tintura.

Prendi Vittorio Cecchi Gori, ad esempio, capelli da strega comanda color e sciarpa bianca presidenziale mood prima alla Scala, che bacia sulle gote il suo ex nemico (amatissimo o, meglio, Poltronissimo) Franco Carraro prima di andarsi a sedere vicino a Michele Placido, con scoppola stile The Kid.

Non mancano la grande Franca Valeri, Lina Wertmuller e Luciano De Crescenzo. Maria Star Gelmini entra, invece, sorridendo stile notte dei Telegatti. Paolo Villaggio in giacca aragosta si sistema in prima fila poco distante dal maestro Ennio Morricone mentre Edoardo Vianello ci risparmia le pinne, il fucile e gli occhiali, non i lacci fucsia.

L'ex senatore ulivista Tex Willer Bordon oggi pentastelluto anti Casta passa accanto alla regina di Olimpia, Josefa Idem, che questa estate, invece, a Beppe Grillo aveva dato del patacca. La piddina Sefi racconta di aver visto solo mezz'ora dell'X-Factor fra i candidati alle primarie del centrosinistra su Sky e ribadisce il sostegno a Bersani anche se si dice convinta che «la kermesse in cui tutti parlavano frettolosamente» non gli abbia reso giustizia.

Il richiamo all'estetica della realtà del cinema di Rosi arriva con i 15 minuti di documentario («Il cinematografo è una malattia») che se da un lato avvolge con le spire carezzevoli della settima arte, dall'altro proietta in quella atmosfera tipica delle recite in famiglia o di quelle serate da terrazza romana che finiscono spiaggiate sulla memorialistica e l'aneddotica.

Dalla scena delle donne di Montelepre in Salvatore Giuliano, film di cui si servì il senatore Ferruccio Parri per chiedere l'istituzione di una commissione parlamentare Antimafia, a Gian Maria Volontè così uguale a Lucky Luciano che quando una sua amica lo vide, lo fissò a lungo, e poi disse: «è isso», fino alla sequenza iniziale del crollo del palazzo ne Le mani sulla città, chè si inizia sempre - Visconti docet - dalle scene più difficili, è un tripudio di frammenti di cinema, testimonianze e riconoscimenti. Per il regista e suo ex assistente, Roberto Andò, Rosi è, come Picasso, «un civilizzatore».

Un poeta della realtà, anche se poi i film fanno di testa loro, alla maniera di un mulo, scrive il regista napoletano, che se lo si obbliga ad andare dove lui non vuole, quello non ci va. Prende corpo un affresco che vive di mare, terra, ombre sagomate e panni stesi al sole. Non manca la pennellata di Irene Bignardi che ricorda come dopo quella di Truffaut a Hitchcock e di Peter Bogdanovich a Orson Welles, questa sia nientemeno che la terza grande intervista fatta da un autore ad un altro autore.

Scava nel privato, ma non solo. Indaga fatti, dipana le trame oscure e gli intrecci della politica «anche se poi dentro la sua opera si sente sempre il cinema». Un libro che è uno splendido esempio di «civiltà della conversazione», scolpisce Furio Colombo, attore-interprete ne Il caso Mattei.

La «chioccia pakistana» cara al cuor dell'Avvocato fa il medaglione del citizen Rosi («nella sua opera c'è la vita e c'è il Paese») e plaude al suo codice di patriottismo che si fa beffe delle convenienze e delle contestazioni. Basti pensare come fu accolto Le mani sulla città a Venezia, tra i fischi dei palazzinari e l'indignazione delle sciure perché con la sua pellicola aveva scoperto e denunciato la corruzione edilizia.

Il libro restituisce il clima che a Napoli accompagnò il film-inchiesta: la condanna di Lauro, il coinvolgimento come attore - previa intercessione di Giorgio Amendola - del leone rosso Carlo Fermariello, che in consiglio comunale si batteva a muso duro contro gli speculatori fino alla proposta del Psi a Rosi di candidarsi come sindaco del capoluogo campano respinta ché quello non era il suo mestiere, «io dovevo fare il cinematografo».

Nel suo gruppo di amici napoletano di cui facevano parte La Capria, Peppino Patroni Griffi, Antonio Ghirelli, Maurizio Barendson, c'era anche Napolitano che ha condiviso insieme a lui - sia pure in classi diverse - il liceo Umberto I di Napoli, l'antifascismo e un mucchio di passioni giovanili: i libri, il mare, il teatro. Frequentavano un circolo con un nome che era tutto un programma, «La compagnia degli illusi, mettevano su commedie, anche il capo dello Stato ne scrisse e diresse una. Re Giorgio ricorda tutto: le passeggiate in via Partenope, Franco Rosi sempre molto chic, la formazione politica in nome di valori e idee comuni. Come è bello stare a Napoli e sognar.

«Eravamo convinti che l'unica salvezza per l'Italia era perdere la guerra», ricorda il presidente della Repubblica celebrando l'amico di una vita. «Abbiamo fatto strade diverse ma non ci siamo mai persi di vista e siamo rimasti fedeli a quella stessa ispirazione di 60 anni fa».

Anche se poi Marco Travaglio non perde occasione per ricordare al capo dello Stato «il plauso all'invasione sovietica del 1956», come rimarca anche nella prefazione del libro di Vauro (Sciacalli) che il vicedirettore del Fatto presenta alla Feltrinelli di Galleria Colonna ad una platea composta per lo più di giovanissimi mentre Scalfari davanti al parterre esclusivo del Quirino inizia a riflettere sull'essenza della modernità: «l'ambiguità» di cui sono intrisi nell'opera di Rosi la figura di Enrico Mattei e Gian Maria Volontè («comunista ideologico ma all'atto pratico, liberale di sinistra»).

Non manca nella sua omelia la stoccata a Grillo che fa una denuncia generica («Tutti ladri») e pericolosa. «La denuncia, infatti, deve essere provata altrimenti diventa populismo finalizzato ad indebolire o demolire le istituzioni».

Il Padre Fondatore si schiera a difesa del partito del Colle (se c'è qualcuno che non condivide questa deriva eversiva, quello è il presidente della Repubblica) supportato dal fervorino di Rosi («A cosa serve dire tutti ladri? A niente, bisogna, piuttosto, ricominciare dalla scuola, dai ragazzi che non vanno lasciati soli....») mentre a pochi isolati Vauro e Travaglio mandano in delirio tra satira e la reiterazione di una delle battute di Beppe Grillo («I politici sono tenuti in vita da giornali e tv che non sono più media ma medium») una torma di ragazzi precari, radicali anti-Casta, cacciatori di autografi e foto-ricordo.

L'establishment che si arrocca e i cittadini che dal basso chiedono una politica diversa. Il nuovo che non avanza o solo gli avanzi del nuovo. Soliti burosauri e giovani Fantozzi. Con chi si schiera oggi il ragionier Ugo? «Fantozzi oggi voterebbe Beppe Grillo», la voce di Paolo Villaggio amplifica la speranza di chi guarda al M5S perché «è disgustato dalla politica e vuole pagare meno tasse».

Il Pd? «Una situazione tragica. I candidati alle primarie non pensano al futuro dei giovani ma al loro presente e coltivano alleanze paradossali». Gli italiani che sognano Obama finiranno tra le braccia di Casini? «Gli italiani sognano di continuare a rubare, sono refrattari alle prediche. E, allora, meglio scendere in strada come fa Grillo e sparare qualche vaffa, oggi funziona moltissimo». Ma con i vaffa di un comico non si governa. «Ma quale comico, Grillo è un uomo politico formidabile». Con quella dose di ambiguità che si adatta ai tempi moderni. E ad un film di Rosi. Scalfari permettendo.

 

 

 

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